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CALEB NICHOLS "Stone age is back"
(2025 )
Non si riesce minimamente ad immaginare quanto l’immediatezza dia, spesso, risultati migliori di quelli studiati certosinamente a tavolino.
Su questa convinzione fa perno “Stone Age is Back”, il nuovo album di Caleb Nichols, il quale ha registrato i 13 brani in elenco (quasi) tutti in presa diretta, con poche sovraincisioni, della serie “prima prova, buona la prima!”.
Sembra incredibile, ma il flusso naturale del disco si avverte a primo acchito, come certi lavori della scena DIY britannica come Tubs, Adults, Big Joannie, tanto per dire, oppure l’istintività dei primi Modest Mouse, capito?
Oltre che cantante e poeta, Caleb è un musicista ben preparato, che ha maturato esperienze viaggiando in lungo e in largo ed ora, con “Stone Age is Back”, vuole “gridare” (non solo con la titletrack) il suo allarme contro la classe dei miliardari che muovono lo scacchiere del mondo, provando a non far mai esondare la rabbia in maniera pacchiana ma, piuttosto, con episodi misurati di folk, pop, e indie-rock.
Dopo aver dischiuso la lista con il divertente cazzeggio di “Awooo!”, sfila il trio delle meraviglie “Quartz age”, “Love lies” e “Slate age”, curato finemente nelle loro strutture variabili, mentre il recinto ponderativo è costruito intorno a “Call me if”, “Hag stone”, “Stone age is now” e “Dark age”, caratterizzato da quel soffio narrativo, tanto evocativo quanto sognante, che fa di Nichols un eccellente testimonial degli storytellers.
Sono tante le sensazioni che secerne l’albero di “Stone Age is Back”: riflessioni sul dolore, il senso di colpa, la complicità, le insicurezze, le distopie riflessive e molto altro, però quando poi ascolti altri pezzi pregevoli come “Car Park”, “Big soul” e la conclusiva “Stone age is mad”, ti consoli pensando che il “mal comune mezzo gaudio” ti (ri)dà coraggio e fiducia nel futuro, diradando la nebulosità di pensiero, con un disco che fa tornare il sereno. That’s all, folks! (Max Casali)