BRUCE SPRINGSTEEN  "Nebraska 82"
   (2025 )

Sarò di parte, ma tutto sommato me ne infischio altamente e sarò eufemistico. Anzi, me ne sbatto.

Con orgoglio rivendico anche ora a gran voce, ora, a 43 anni suonatissimi di distanza, quello che pensai quando udii e vidi per la prima volta, prima di innumerevoli altre volte, il video di "Atlantic city" sulla mia scalcagnata televisione domestica.

E cioè che "Nebraska", con il suo tono dolente e intimista, con i suoi bianchi e neri screziati di dolore e povertà e solitudini, sudore e disoccupazione e polvere e neon ipnotici, famiglie spezzate e rimosse, periferie e illusioni di successo, con le sue autostrade infinite accompagnate dall'armonica a bocca (non a caso lo stesso anno uscì "Rambo", che sarebbe riduttivo considerare un mero frullato di machismo muscolare post-Vietnam) è stato ed è tuttora il disco migliore e più importante del Boss.

Intendiamoci, del Boss meno patinato e meno divo possibile, ossia del Boss più autentico e verace, ossia il cantore dell'America dei perdenti e dei reduci da sé stessi e dalla storia, dell'eterna provincia, dell'ossatura profonda di un Paese piegato e piagato ma anche mai domo, il cui destino, volenti o nolenti, anche nell'epoca digitale del trumpismo sfrenato che fa rimpiangere l'era reaganiana in cui nacque "Nebraska", è intrecciato infinite volte col destino culturale del mondo e con l'immagine che ha il mondo di sé stesso.

Eresia, la centralità di questo disco nel mondo sonoro di Bruce Springsteen? Come detto, io la penso così. E sono pronto a difendere la mia posizione con tanto di dobermann e pitbull schiarati al cancello, e un esercito di bulli con Harley Davidson e Hummer H1 e il piede sui rispettivi acceleratori, gli steroidi nei muscoli ben oliati da frotte di pollo fritto e patatine e fiumi di birra a buon mercato. Un po' come la popolazione poco raccomandabile del bar che trova Schwarzenegger nella scena iniziale di Terminator 2.

Scherzi a parte. Oggi il mondo dei fedelissimi del Boss è giustamente in subbuglio e festeggia, dato che è tutto un profluvio di cofanetti di inediti che non eguaglia ma si inserisce nello stesso alveo di quelli di Dylan e Neil Young, c'è in circolazione pure un film celebrativo, il Boss se lo merita anche se siamo come sapete in stagione di saldi e di raschiamenti di barile discografico.

Ma qui non siamo sull'altare del dio dollaro ma su quello della filologia d'autore, ed ecco ora questo manipolo di inediti ulteriori che riportano a tutto tondo, o almeno cercano di farlo, una fotografia di un anno e di un disco a dir poco epocali.

Basta partire dal fondo e sentirsi, con le orecchie che abbiano lasciato fuori dalla porta i pregiudizi e 40 anni di ascolti e live e video, la versione primitiva, l'abbozzo commovente di quella che poi sarà la "Born in the Usa" che conosciamo e pure, identitaria e sferzante come è, non ci leviamo dalle orecchie e mai ce la leveremo.

Forse tutto il Boss è concentrato lì, in quella cassetta registrata in una stanza d'albergo su un Teac 4 tracce, e pochissimi fronzoli. All'epoca era eresia ascoltare "Nebraska" con intendimenti e orecchie da audiofilo, era considerato, agli albori di lancio del cd di cui si dicevano mirabilie, un disco spazzatura, caparbiamente analogico, e quindi minore, eccentrico, spazzato via da quel Born che arriverà due anni dopo sugli scaffali di milioni di adolescenti, compreso il mio amico Franco che ne scartò il vinile con la bava alla bocca fuori dalla scuola, e ce ne fossero oggi di dischi così maledizione.

Come il migliore dei vini - e lo dico mentre Willy Nelson pubblica a 92 anni suonati un nuovo smagliante album di inediti - è invecchiato benissimo ed è diventato un classico, anzi il classico per eccellenza nella discografia del Boss, alla faccia anche delle sue versioni elettriche, e anche quelle vintage pure contenute in questo prezioso cofanetto che è sacro totem controcorrente e come tale raccomandabile.

Voto 10 e lode, come regalo di Natale di somma qualità, specie per chi si nutre di nullità sonore come il 99% della produzione attuale. Beato chi lo scoprì all'epoca come me, beato chi lo scopre oggi con questa valanga di outtakes, versioni live e il disco originale naturalmente. W il rock, quello vero che entusiasma e fa piangere e come tale non morirà mai. (Lorenzo Morandotti)