![]()
RANDI PONTOPPIDAN & CHRISTIAN RONN "Shadow moves"
(2025 )
C'è del fresco in Danimarca, tanto per contraddire Shakespeare.
La voce di Randi Pontoppidan è sempre espressione di un mondo parallelo, che abbiamo già incontrato più volte, come ci spiega bene il collega Piergiuseppe Lippolis raccontando “Voicescapes” (titolo significativo), recuperabile qui: http://www.musicmap.it/recdischi/ordinaperr.asp?id=8208; successivamente, l'ho raccontata in duo con Sissel Vera Pettersen (http://www.musicmap.it/recdischi/ordinaperr.asp?id=8610) e infine ne parla l'altro collega Samuele Conficoni (http://www.musicmap.it/recdischi/ordinaperr.asp?id=9281).
Quest'anno, Pontoppidan collabora con il pianista Christian Rønn, che utilizza il pianoforte preparato, per ottenere tanti suoni ferrosi da alcuni tasti dello strumento, e duetta con la multiforme voce della cantante, che usa tutte le possibilità: sussulti, acuti brevissimi, colpi di glottide, mormorii, che in brani come “Discussion” simulano una specie di conversazione astratta.
Uscito per l'etichetta Nische, “Shadow Moves” è un compendio degli esperimenti del duo. “Shade” mostra da subito le carte, con un esito surreale, ma ancor di più “Fingers”. In quest'ultima, Pontoppidan chiude le corde vocali e spinge l'aria per creare un effetto gutturale che forse molti giocavano a fare da bambini (o almeno, io sì, infastidendo mia mamma...).
In certi momenti, questa voce gutturale viene fatta passare per gli effetti elettronici, diventando un ruvido tappeto di sfondo ai vocalizzi più consueti. In tutto questo, Rønn crea delle briciole di suono di pianoforte, avendo preparato tutti i tasti più acuti e insistendo su quelli.
Si procede in questo modo, come nel free jazz di un minuto di “Reason”, così nel lento e meditativo “Carousel”. In “Tremble”, Rønn si ritaglia uno spazio da protagonista, dove trilla rapidamente sui tasti che, per come sono preparati, fanno assomigliare il pianoforte a un sitar.
In “Phantom” si crea un bordone grave e continuo, con i live electronics di Randi Pontoppidan, e la voce procede stavolta più naturale ed emozionale, mentre il pianista “picchietta” sui tasti mutati, come un bussare inquieto in una zona sicura. Sono brani astratti, e l'espressività può dare adito a interpretazioni molto diverse a seconda di chi ascolta.
La voce si sdoppia in loop station in “Praise”, mentre il pianoforte tuona. È forse uno degli episodi più inquietanti. Poi in “Wide Skies” Pontoppidan imita la tromba con sordina (fa “uauà”, tra le tante altre cose), ma anche se sembra un brano simil jazz, l'esito è sempre surreale.
A dispetto del titolo, “Rare Tranquillity” chiude l'album con parecchia agitazione. Verso la fine, la voce si distende in note lunghe e cariche di respiro, mentre il pianista non si placa fino al termine della traccia, vagando tra staccati ad altezze quasi casuali.
Come dicevo all'inizio, c'è del fresco in Danimarca: gli esperimenti di Randi Pontoppidan, questa volta con il pianista Christian Rønn, sono sempre sorprendenti e nonostante la storicità del pianoforte preparato (da John Cage in poi) e dell'improvvisazione vocale totale, suonano ancora nuovi. (Gilberto Ongaro)