BOY GEORGE  "Tense nervous headache"
   (1988 )

"Sold" aveva fatto anche molto bene, per un sopravvissuto a se stesso. Certo, dietro c'era uno staff che avrebbe potuto rianimare anche Cionfoli, ma lui era stato all'altezza. Però i panni non gli stavano più tanto larghi, e forse una certa voglia di buttare al vento quell'idea di innocuità che aveva incarnato nei giorni più floridi. Era passato da una insignificante "Live my life" regalata al cinema, ma soprattutto da una "No clause 28" che era stato il suo esordio nel mondo dei dischi scratchati, e delle sonorità house. E nel mondo dell'outing, con il suo grido contro le discriminazioni verso i gay. Tradotto: non voleva più fare la bambolina, specie in un panorama musicale che stava, piano piano, voltando le spalle a ciò che aveva esaltato un quinquennio prima. Di certo, questo album non lo aiutò a restare sulla cresta dell'onda: lungo, a tratti caramelloso, con qualche buona idea (la merenguesca "Something strange called love", o l'eccellente reggae di "Kipsy"), altri approcci politically correct ("Girl with combinated skin", o "Happy family"), ma anche tanti, troppi passaggi sonnolenti, a partire dai due scalcagnati singoli che vennero scelti per addormentare la piazza ("Don't cry" e "Whisper"), in totale controtendenza, forse, con quello che George avrebbe voluto fare in quei giorni. Andava scremato un pochettino, magari, per renderlo più appetibile alle folle; era anche vero, però, che l'eclettismo del soggetto, capace di mandare alle stampe qualsiasi cosa, sembrava un autentico viatico per lo spiazzare un pubblico che ormai non sapeva più come considerarlo. Quando poi, quattro mesi dopo, sarebbe arrivato un altro disco ("Boyfriend") di tutt'altro genere, il corto circuito fu totale. (Enrico Faggiano)