LA ROUX  "La Roux"
   (2009 )

Ok, ok, qui si entra in un territorio alquanto minato, soprattutto perché lo scrivente ha una certa passionaccia per certi suoni retrò e demodè, e quindi il suo giudizio potrebbe essere, diciamo così, un po’ di parte. Però è commovente che, in questi tempi in cui la musica sembra artefatta, tra gli eccessi di sculettamenti e gli eccessi di finto alternativisimo, qualcuno dia alle stampe un disco che, bontà sua, sembra essere qualcosa di nato e cresciuto almeno 25 anni fa. I La Roux sono britannici, e ricordano già nella formazione (un fanciullo che sta dietro a tamburar su tastiere, e una fanciulla a far da voce e immagine) certi sodalizi elettropop dell’epoca, come gli Eurythmics e gli Yazoo – non dite i Jalisse, altrimenti vi tiro in testa l’opera omnia di Apicella – dove, bene o male, le cose erano le stesse. Un colpo al cuore: qui sembra di sentire una versione rimasterizzata degli Erasure, anche perché la voce della fanciullina, Elly Jackson, è molto più vicina a quella di Andy Bell che non a quei vocioni che tanto andavano a quei tempi (Phil Oakley o la stessa Alison Moyet, per intenderci). Il mix perfetto tra nostalgia e modernità, che potrebbe far cantare “In for the thrill” sia all’ormai semiquarantenne che non smuove la televisione da MTV Gold, e il giovin fanciullino che magari vorrebbe anche andare oltre Beyoncè, ma che non riesce a farsi attrarre da quei dinosauri (per lui) come i Depeche Mode o altri superstiti di quell’epoca. Questo è technopop del 2000, che guarda indietro ma non dimentica l’anno in cui viviamo: provate “Bulletproof” o “I’m not your toy”, o la già famosa “Quicksand”. Magari Ben Langmaid sta studiando per diventare il nuovo Vince Clarke: niente di nuovo sotto il sole, ma per una volta lasciate che il vostro cantore gridi al miracolo e festeggi un mix che lo fa tornare indietro nel tempo senza particolari eccessi di nostalgismo. Ed è bello vedere qualche pulzello di oggi che si avvicina al desco del synthpop. (Enrico Faggiano)