

			
NON VOGLIO CHE CLARA  "Dei cani"
   (2010 )
		
			 Attiva dalla seconda metà degli anni novanta, la band Non Voglio Che Clara ha esordito discograficamente nel 2004 con l’ep 'Hotel Tivoli'. Due anni dopo il gruppo è tornato con il bellissimo album omonimo, che contiene una manciata di brani sulla miseria e lo squallore, sul disincanto e il non-amore. Nel 2010 esce finalmente per Sleeping Star, dopo una lunga attesa, il nuovo piccolo capolavoro ''Dei Cani'', prodotto da Fabio De Min e Giulio Ragno Favero (Teatro degli Orrori, One Dimensional Man, Mooro). Il terzo album della band di Belluno guidata da Fabio De Min è un'opera assolutamente contemporanea, e allo stesso tempo lontana da ogni moda musicale, un disco lirico e toccante che racconta di ciò che rimane dell'amore quando l'amore è lontano, di scioperi sindacali e cani abbandonati d'estate, di una stagione della vita che finisce portando via con sè ricordi e pezzi di ciò che siamo stati, di un futuro in cui "c'è un tempo buono anche per ambire/ad un tempo migliore". Il titolo è un richiamo alla figura ricorrente del cane nella poesia majakovskiana: i brani, undici morsi di rancore, sono il racconto scomposto di una stagione cattiva, anzi terribile.
Attiva dalla seconda metà degli anni novanta, la band Non Voglio Che Clara ha esordito discograficamente nel 2004 con l’ep 'Hotel Tivoli'. Due anni dopo il gruppo è tornato con il bellissimo album omonimo, che contiene una manciata di brani sulla miseria e lo squallore, sul disincanto e il non-amore. Nel 2010 esce finalmente per Sleeping Star, dopo una lunga attesa, il nuovo piccolo capolavoro ''Dei Cani'', prodotto da Fabio De Min e Giulio Ragno Favero (Teatro degli Orrori, One Dimensional Man, Mooro). Il terzo album della band di Belluno guidata da Fabio De Min è un'opera assolutamente contemporanea, e allo stesso tempo lontana da ogni moda musicale, un disco lirico e toccante che racconta di ciò che rimane dell'amore quando l'amore è lontano, di scioperi sindacali e cani abbandonati d'estate, di una stagione della vita che finisce portando via con sè ricordi e pezzi di ciò che siamo stati, di un futuro in cui "c'è un tempo buono anche per ambire/ad un tempo migliore". Il titolo è un richiamo alla figura ricorrente del cane nella poesia majakovskiana: i brani, undici morsi di rancore, sono il racconto scomposto di una stagione cattiva, anzi terribile.