I CANI  "Il sorprendente album d'esordio dei Cani"
   (2011 )

Il signor Niccolò C., venticinquenne romano senza un volto nè un cognome, potrebbe anche non esistere. La band chiamata I Cani infatti non esiste, trattandosi di un moniker che cela un progetto solista. I vari strumenti che sembrano suonare in questo disco probabilmente non esistono, giacchè potrebbe trattarsi di campionamenti e/o di suoni generati dal computer. I testi delle canzoni di Niccolò C. parlano di tutto e di niente, spesso di storie inutili, rapporti vuoti, idiozie che finiscono lì dove sono iniziate, labirinti mentali di una fetta non quantificabile di imprecisata gioventù che traccheggia annoiata sulla superficie della vita esistendo senza volerlo del tutto. Per narrare queste non-storie, il signor Niccolò C. ricorre – non saprei dire quanto volutamente e quanto casualmente, ossia lasciandosi pilotare da una emotività non sopita – al linguaggio musicale degli anni di plastica per eccellenza, gli anni ’80 del nulla, quelli dell’immagine patinata che si autoimponeva sul contenuto, in un gigantesco bluff di facciata che celava vuoti a perdere. Se da un lato il signor Niccolò C. recupera dunque scopertamente e con insistenza le sonorità dei primi Cure, la violenza impietosa della batteria elettronica dei CCCP e l’ossessione per la citazione compulsiva di nomi e luoghi à la “American psycho”, dall’altro inscena una fuga da mode e tendenze varie, rinunciando perfino a svelare una qualsiasi immagine di sé stesso. E questo disco, che quasi non esiste, è grandioso nel suo algido nichilismo, non si sa quanto simulato. E’ una enorme bolla di sapone, un trompe-l'œil, un trucco di illusionismo intimamente violentissimo che denuncia e condivide aspetti deteriori di una vita di facciata, che altro non è se non una vacua mascherata. Questo disco – che per gioco uccide una generazione intera senza che ciò rappresenti un problema nè per l’assassino nè per le vittime - imbandisce una sfilata di manichini alla quale assistono automi senza volto nè coscienza, come se nulla avesse più senso al di là di Facebook o di un sms (“La gente ha la faccia aggressiva / è qui per scopare, non può fare brutta figura”); è una parata di figure incorporee che affollano non-luoghi, una riedizione dei vituperati eighties aggiornata al verbo delle nuove tecnologie, che non fungono più da intrattenimento, bensì da modello sociale vero e proprio. Come versioni differenti dello stesso robot da cucina, tutte le canzoni dell’album si assomigliano paurosamente, legate dal medesimo linguaggio espressivo e dallo stesso passo: drum machine lanciata a mille, basso (vero o falso?) pulsante, massicci inserti elettronici, tastiere dilatate a saturare i pochi spazi rimasti, voce inespressiva che sciorinando un piatto canto parlato dà voce a persone (non personaggi) senza più sentimenti. Versi come “I pariolini di diciott’anni fanno i filmini con le quartine / perchè anche se non fosse amore, non per questo è da buttare / come è logico che sia / loro sono gli ultimi veri romantici” risuonano gelidi ed agghiaccianti come la foto di copertina, dove la violenza più o meno implicita dell’atto che raffigura è smorzata (o accresciuta?) dal disinteresse di chi la sta per compiere. E’ la cronaca in diretta – esagerata ad arte - di un mondo reale, dove ogni traccia di amore avvizzisce come una foglia secca (“In macchina cala il silenzio, lei è scocciata e si guarda allo specchio / lui fa finta di niente, alza la musica e guida da brillo” recita “Le coppie”), lasciando solo detriti insignificanti ed esperienze senza peso nè rilievo, nemmeno meritevoli di essere ricordate. Solo a sprazzi riaffiora qualche imitazione malriuscita di un sentimento reale, come può essere lo sdegno che ammanta la squallida figura descritta in “Post punk” o il moto di rabbia che pervade “Perdona e dimentica”, ma sono fuochi di paglia, scintille che rischiarano appena un grigiore opprimente, prima che cali il sipario sull’ennesimo nulla, che può essere indifferentemente una resa, una constatazione, un’ammissione di incolpevolezza, o soltanto una frase come un’altra: “Vorrei vivere in un film di Wes Anderson / e i cattivi non sono cattivi davvero / e i fratelli non sono nemici davvero / ma anche i buoni non sono buoni davvero / proprio come me e te”. Capolavoro, ma è un’opinione strettamente personale. (Manuel Maverna)