JOSH RITTER  "The historical conquests of Josh Ritter"
   (2007 )

Se questo disco contenesse due sole canzoni, nessuno si offenderebbe; nemmeno Josh Ritter in persona se ne avrebbe a male se qualcuno gli facesse notare la non indispensabilità delle altre dodici tracce che formano “The historical conquests of Josh Ritter”, album che segue di un solo anno lo splendido “The animal years” del 2006. Disco sbagliato in tutto e per tutto, sequel fiacco e prevedibile, “The historical conquests” è lavoro minore costruito su brani spenti e poco ispirati, che risentono di un evidente calo nella genialità di questo brillante cantautore, per una volta tornato umano e ridisceso in terra tra i comuni mortali: il buon Josh sembra smarrire di colpo la strada che lo aveva condotto nel solco della grande tradizione Americana sulle orme di modelli evidenti (Dylan in primis), perdendosi in una landa di confine fatta di echi beatlesiani (la cavalcata furbetta di “Right moves”, imbastardita con l’Elton John più disimpegnato), citazioni d’antan (il terzinato di “Rumors”, il passo à la Roy Orbison di “Open doors”) e canzonette inessenziali (la pasticciata baraonda bandistica di “Real long distance”, ma anche la nenia strascicata di “Wait for love” suonano semplicemente inutili). Il tono si risolleva in parte nelle tracce conclusive del lavoro, quando Josh azzecca il country spinto di “Next to the last romantic”, la melodia intima e raccolta di “Still beating” e la ballad spingsteeniana di “Empty hearts”, a conti fatti briciole per un autore capace di infondere nuova linfa in un genere rodato e collaudato nei secoli dei secoli. Album sì debole dal principio alla fine, ma capace di regalare due zampate da artista di adamantina classe: l’opener visionario “To the dogs or whoever”, devastante up-tempo folk tanto affine a Dylan da sembrare una canzone di Dylan, e soprattutto la toccante ballata sci-fi di “The temptation of Adam”, che tra un arpeggio in minore e un violino metafisico stende una love-story retro-futuristica da brividi, con un testo magistrale ed una trasognata atmosfera sospesa che ne fanno una canzone perfetta. Due gemme che non possono comunque – loro malgrado – contribuire a salvare dall’oblio un’opera insipida e per nulla fondamentale. (Manuel Maverna)