CRANES  "Loved"
   (1994 )

Band albionica che godette di una certa notorietà a cavallo tra gli anni '80 e gli anni '90, sulla scia del successo toccato in sorte ai Cure di Robert Smith ai quali fecero da spalla durante alcune fortunate uscite in quel periodo, i Cranes appartengono a quella nutrita schiera di gruppi che non riuscirono mai ad ottenere una collocazione più ampia della nicchia che occupavano. "Loved" è forse il disco della maturità, quello più intenso e coeso, quello più legato ai tratti che innalzarono per breve ed effimero tempo il gruppo al rango di eredi ed alfieri di un certo spleen tipicamente british, facendo della cantante Alison Shaw, musa dalla suadente ma inquietante voce di bambina, un'improbabile (ed involontaria) icona della dark-wave. La proposta è solidamente attraente, un connubio di elettronica malinconicamente oscura e di pop etereo, come dei Depeche Mode alla rovescia: mentre la ditta Gahan&Gore parte da musica da ballo e la incupisce con la tetraggine degli arrangiamenti e della vocalità angosciosa di Gahan, i Cranes rivitalizzano con l'elettronica (peraltro molto mascherata) ballate tristi dalla scrittura/struttura molto semplice. Quasi sempre si tratta di pezzi poco sviluppati, che ruotano attorno ad un unico giro venato soltanto di contrappunti di vario genere: il violoncello della languida "Are you gone?" o la maestosa apertura tastieristica di "Paris and Rome" ne sono fulgidi esempi, così come le dissonanze e la ritmica dispari di "Pale blue sky" o le scudisciate di "Lilies" e l'ossessività della title-track. Gli episodi che meglio documentano l'attitudine della band e la sua scarsa propensione ad articolare maggiormente i brani sono forse le due ballate di "Shining road" e "Reverie", placide oasi sulle quali si libra sinistro e curiosamente carezzevole il canto ineguagliabile di Alison Shaw: lo stesso canto che pennella la funerea chiusura di "In the night", vibrante elegia catacombale ad un passo dall'abisso, voce di sirena che tesse un sogno - o forse un incubo – senza fine. (Manuel Maverna)