THE SCUNNED GUESTS  "Le scimmie urbane"
   (2014 )

Dopo una settimana in cui 4 “ospiti indesiderati” hanno preso il controllo della mia riproduzione musicale, riempiendo le mie orecchie con i loro strumenti e le loro parole, credo sia giusto esprimere cosa io pensi di loro. Il punto è che questi 4 ospiti tanto indesiderati non sono! Questo perché The Scunned Guests (tradotto liberamente “ospiti indesiderati”, appunto...) sono riusciti ad attirare la mia attenzione fin dal primo ascolto, a farmi interessare al loro album sin dalle prime tracce, e soprattutto ad esprimermi qualcosa con la loro musica… e riuscire in questo non è banale, soprattutto nell’attuale panorama musicale, in cui sfortunatamente di musicisti come i suddetti ce ne sono sempre meno o vengono sempre meno considerati. Ma passiamo alle presentazioni: questi 4 ragazzi sardi sono Paolo Vodret, bassista e fondatore nel 2008 della band, Gianni Senes, microfono del gruppo, Marco Calisai alla chitarra e Pietro Marongiu alla batteria. La band decide di utilizzare l’italiano per i propri testi ed è questo probabilmente uno dei suoi punti di forza. Il sound infatti si contrappone alla lingua grazie ad influenze grunge ed alternative rock, tipiche di realtà al di fuori del nostro paese. Raccogliendo informazioni scopro che il gruppo vanta una notevole attività live (aprendo anche ad artisti come Sikitikis e Joe Perrino) ed una serie di interessanti riconoscimenti per la propria musica che non fatico a ritenere meritati. Dopo un primo Ep nel 2010, dal titolo “7+5=12”, nel 2014 The Scunned Guests sfornano il lavoro che risuona adesso nella mia testa, “Le Scimmie Urbane”: un album interessante sotto molti aspetti. Proprio per questo ripongo molta fiducia ed aspettative in quello che sarà il loro prossimo cd, già in fase di registrazione. Ma prendiamoci adesso un po’ di tempo per delineare il lavoro dentro il quale mi sono immerso negli ultimi giorni. Banalmente potrei riportare le parole della band che riguardo i propri 9 brani affermano: “cercano di essere un riassunto dei drammi e delle gioie della vita, della quotidianità e di un certo essere-nel-mondo che spesso ci fa sentire attori inadeguati di un’esistenza segnata dalla drammaticità ma foriera di possibilità di una certa salvezza”, e non aggiungere altro, ma sento di doverlo fare. Questo lavoro riesce a trasmettere, dalla prima all’ultima traccia, diversi sentimenti e pensieri che regolarmente affollano la nostra mente. Riesce a dar voce a quelle sensazioni che teniamo racchiuse in silenzio in quel labirinto formato dai nostri neuroni. Riesce a trascrivere su di uno spartito differenti modi di sentirsi appartenenti ad una realtà in cui siamo costretti a vivere. Poco fa, non a caso, ho inserito la band in un contesto grunge: i testi infatti riprendono molto di quel determinato ambiente musicale. La strumentazione si lega perfettamente alla voce ed alle parole che scaturiscono da questa, creando la giusta melodia con e sulla quale esprimere le forti sensazioni che questo album vorrebbe trasmettere. E queste sono molteplici e differenziate ma tutte collegate da un senso esteso di inadeguatezza che ci rende tutti un po’ ospiti indesiderati. Le 9 tracce delineano dunque temi differenti, dalla consapevolezza di vivere in una prigionia quotidiana alla critica nei confronti di un mondo basato su tante parole prive di sostanza (“Bla Bla Bla”), che ci vengono regolarmente offerte da politici e classe dirigente della nostra società. Voglio dare risalto alla traccia che più mi ha stupito. Praticamente in mezzo all’album (5° brano) si trova “Sera d’autunno”. La canzone si apre con un riff molto attivo ed esplosivo per un titolo così “stanco” e la nostra sera appare tutt’altro che tranquilla. Il verso abbassa i toni e lascia spazio alla voce, il cui compito è di “raccontarci” il disagio di questa serata autunnale. È il chorus che lascia spazio ad una meravigliosa fusione fra testo e musica. Sotto le uniche 5 parole “credo di non stare bene” si scatenano gli strumenti in un caotico rumore espressivo, genialmente riempito da un synth che scandisce in sottofondo striduli ed acuti suoni capaci di rappresentare perfettamente l’aspetto confusionario di un malessere del proprio stato d’animo. Grande canzone, grande capacità espressiva. “The Scunned Guests” si presentano dunque come una band ben formata, capace di esprimere della ottima musica, originale e propria, in una realtà musicale sempre più ricca di omologazioni e banalità. (Bluff)