SAMBA TOURE'  "Gandadiko"
   (2015 )

Figlia del caso o di una pionieristica ricerca, la relativamente recente valorizzazione della scena musicale del Mali, Paese africano assurto ai tristi onori della cronaca a causa delle tragiche tensioni interne sfociate nella guerra civile del 2012, passa necessariamente per l’impegno (arte e filantropia a braccetto) profuso da una èquipe trasversale di addetti ai lavori – tra gli altri Damon Albarn - nel tentativo di sollevare il velo su una scena tanto florida quanto comprensibilmente sconosciuta ai più (Tinariwen a parte). All’insegna di un blues ancestrale, mai poderoso, bensì sofferente, trattenuto ed esitante, nel nuovo lavoro “Gandadiko” (“Terra in fiamme”) il 47enne Samba Touré, eccellente chitarrista originario di Timbouctou, discepolo del grande Ali Farka Touré, imbastisce una dolente narrazione incentrata sulle vicende legate alla sua terra, affrontando tematiche di carattere sociale col tono dimesso di chi ne ha vissuto dall’interno l’intrinseca drammaticità. Comprensibile dunque il ricorso alla lingua natìa, sebbene la scelta possa rivelarsi penalizzante rispetto alla diffusione erga omnes non già di una musicalità apolide, bensì del messaggio che essa intende veicolare: più di ogni altra cosa, parlano davvero all’anima queste cadenze spezzate, rotte come vetri infranti, composizioni in bilico fra indole bluesy (splendida ed emblematica l’apertura affidata alla title-track) e massicce dosi di world-music (“Male bano”, di triste intensità, ma anche il passo di “Wo yende alakar” che ricorda i Mano Negra meno disimpegnati), fra tribalismi percussivi (“Gafoure”, impreziosita da un violino quasi cajun) ed inattese concessioni ad una scrittura maggiormente orientata ad un sound universale (la pigra ballad di “Chiri hari”). Blues latu sensu che mai cede al virtuosismo autoreferenziale nè a sfoggio alcuno di pur evidente abilità tecnica, quello di Samba Tourè è altresì un chitarrismo sincero e misurato, funzionale alla causa cui è asservito, linguaggio che denuncia, esorcizza, celebra, riflette sulle ali di una voce di incombente profondità: musica intima e mantrica che veleggia su sospese arie da spiritual, reiterata ciclicamente come in un rituale di purificazione capace di valicare i confini entro i quali è nata. (Manuel Maverna)