CLAUDIA CRABUZZA  "Com un soldat"
   (2016 )

Da circa trent’anni mi chiedo cosa avesse spinto Fabrizio De Andrè, nel 1984, a pubblicare un intero album in dialetto genovese, misto ad una forma di esperanto inventato. Parliamo ovviamente di “Creuza de Ma”, ritenuto un autentico capolavoro perfino da David Byrne dei Talking Heads, che lo definì uno dei dieci dischi più importanti degli anni ’80. Le motivazioni primarie sono, certamente: l’amore profondo per le proprie radici, misto a un pizzico di sana follia. Ma è probabile che ci sia un terzo motivo, e qui arriviamo a Claudia Crabuzza che, per incidere “Com un Soldat”, fa uso di una lingua del XIV° secolo: il catalano. Lo avrà fatto per liberarsi, forse, di quei condizionamenti che trasmettono certi genitori che non vogliono che si parli l’idioma locale per timore che i figli non imparino poi bene l’italiano. “Com un soldat” è da ritenersi un concept-album, e parla della storia di una donna combattente, alle prese con i numerosi risvolti del vivere, caratterizzati dai loro contrapposti: amori e addii, speranze e vanità, e tutto ciò che Madre Terra porge con le sue insidie ma anche con le sue sorprese. La Grabuzza non ha preso l’esempio del grande Faber come una sfida ma piuttosto come un tramandato e ideologico incoraggiamento a osare di più, dopo la militanza per un biennio con i Tazenda (2000-2002) e con la sua creatura dei Chichimeca, gruppo “world” che miscelava la cultura musicale sarda con influenze latino-americane. Quindi, per il suo debutto da solista sceglie la lingua della sua città (Alghero), dando ai brani un impatto “minimal-rock”, ed il catalano è lingua che, in questo contesto, ci sta a pennello per le ritmiche incalzanti dalle tinte forti. Quindi, via al fluire dei suoi ricordi personali, raggruppati in poco più di mezz’ora. Ci sono anche dediche di stima per un paio di artiste in “Lhasa” (per Lhasa Do Sela, cantautrice messican-canadese) e “L’altra Frida” (per la pittrice Frida Khalo). Insomma, personaggi e vicissitudini che hanno segnato la cantautrice, nel bene e nel male, si intrecciano nell’opera con altre aneddotiche di vita, e l’etichetta Microscopi di Barcellona sostiene il progetto senza riserve, intuendone il taglio internazionale che ne consegue, in quanto non ci sono solo minimali chitarre acustiche arpeggiate (ed il risultato sarebbe alquanto prevedibile), ma anche sortite di chitarra elettrica e spruzzate di elettronica in “Mare antiga” e, soprattutto nella splendida “La finestra”, che non ha nulla da spartire con “Nina nana mare mia”, unico neo della track-list. Per le musiche Claudia si è affidata allo scrittore e regista Fabio Sanna, mentre per gli arrangiamenti ha voluto la luminosità e maestria del duo Julian Saldarriga e Dani Ferrer. L’epilogo di quanto descritto qual è? Semplice: giù le mani dal catalano! Riconosciuto dalla nostra Repubblica e dalla Regione sarda come lingua minoritaria e vigilata dall’Unesco, fortunatamente ad Alghero si continua a parlarlo (e Claudia a cantarlo). Non so se mi spiego… capito mi hai? (Max Casali)