

			
L'ORDINE NATURALE DELLE COSE  "Saturno"
   (2017 )
		
			 Chi ha avuto l’occasione di sbirciare  Saturno da un telescopio, sarà stato pervaso da una tempesta di suggestioni, come quelle legate alla fantasia narrativa e all’arte tutta.  Per i parmigiani  L’Ordine Naturale Delle Cose, Saturno è un pianeta  speciale, lo associano alla malinconia,  con quegli anelli intorno  che simboleggiano delle spade di Damocle sospese sulle nostre vite, ma capaci anche di suggerirci trasformazioni in atto.  Su “Saturno”, quindi, ci ritroviamo tutti alieni a riconoscerci nel campionario spaziale delle influenze orbitanti, con l’intento di raschiare e discernere quelle nocive e renderci conto quanto incidano nella nostra crescita.  Il moto di rivoluzione parte con il singolo “Lisa”, accordi slegati in stile Cure e voci lontane con stop estranianti e riprese dinamiche, come a voler ridurre il divario tra i grandi sogni ad occhi aperti e la quotidianità, impastando la realtà con l’onirico.  La trovata sorprendente del quintetto è l’inserto di violini elettrici in ambientazioni  noise-punk, che destabilizzano con bizzarria.  Visibile ad occhio nudo è la supernova “Dirupo”, con chitarre  severe e canto incisivo, più in evidenza rispetto alle altre. A metà inclinazione, uno strampalato intermezzo dà una chiara idea dell’angoscia tematica sulla caducità umana, in un turbinio sonoro che inghiotte inesorabilmente. Vige invece un climax cupo e funereo in “Bfp”, infarcita di elettronica.  Ma per scovare la canzone più terrestre occorre atterrare su “Marea” con sonorità limpide eppur ipnotiche, benché manchi  di digressioni strategiche. Fatto sta che stazionare su “Saturno” non è un brutto affare uditivo ma implica intensa riflessione se si ha voglia di prendere coscienza delle forze elastiche del nostro vivere.  Tutt’altro che… “Opaca” è la struttura di questa omonima song,  in cui  la band ha ottime capacità di miscelare la dolcezza dei violini col  darkness: come se scoppiasse amore a prima vista tra  Wonder Stuff  e  Joy Division  con una  proposta indecente.  E’ ora di tornare alla base, con la propulsione  di “Saturno a casa”, scaturita da pacche di drum-machine che battono su descrizioni narrative  e dimesse del vocalist Stefano Cavirani, per poi  sfrecciare con 4 minuti strumentali di virtuosa efficacia, finchè il vento finale spazza via ogni libertà di pensiero fin qui contemplata.  Ora fatevi due conti: essere pervasi dalla malinconia ci può anche stare, basta però non incappare nel destino degli anelli di Saturno,  riconosciuti instabili e con vita relativamente breve: non sarebbe il massimo della coerenza che suggerisce… l’Ordine Naturale Delle Cose. (Max Casali)
Chi ha avuto l’occasione di sbirciare  Saturno da un telescopio, sarà stato pervaso da una tempesta di suggestioni, come quelle legate alla fantasia narrativa e all’arte tutta.  Per i parmigiani  L’Ordine Naturale Delle Cose, Saturno è un pianeta  speciale, lo associano alla malinconia,  con quegli anelli intorno  che simboleggiano delle spade di Damocle sospese sulle nostre vite, ma capaci anche di suggerirci trasformazioni in atto.  Su “Saturno”, quindi, ci ritroviamo tutti alieni a riconoscerci nel campionario spaziale delle influenze orbitanti, con l’intento di raschiare e discernere quelle nocive e renderci conto quanto incidano nella nostra crescita.  Il moto di rivoluzione parte con il singolo “Lisa”, accordi slegati in stile Cure e voci lontane con stop estranianti e riprese dinamiche, come a voler ridurre il divario tra i grandi sogni ad occhi aperti e la quotidianità, impastando la realtà con l’onirico.  La trovata sorprendente del quintetto è l’inserto di violini elettrici in ambientazioni  noise-punk, che destabilizzano con bizzarria.  Visibile ad occhio nudo è la supernova “Dirupo”, con chitarre  severe e canto incisivo, più in evidenza rispetto alle altre. A metà inclinazione, uno strampalato intermezzo dà una chiara idea dell’angoscia tematica sulla caducità umana, in un turbinio sonoro che inghiotte inesorabilmente. Vige invece un climax cupo e funereo in “Bfp”, infarcita di elettronica.  Ma per scovare la canzone più terrestre occorre atterrare su “Marea” con sonorità limpide eppur ipnotiche, benché manchi  di digressioni strategiche. Fatto sta che stazionare su “Saturno” non è un brutto affare uditivo ma implica intensa riflessione se si ha voglia di prendere coscienza delle forze elastiche del nostro vivere.  Tutt’altro che… “Opaca” è la struttura di questa omonima song,  in cui  la band ha ottime capacità di miscelare la dolcezza dei violini col  darkness: come se scoppiasse amore a prima vista tra  Wonder Stuff  e  Joy Division  con una  proposta indecente.  E’ ora di tornare alla base, con la propulsione  di “Saturno a casa”, scaturita da pacche di drum-machine che battono su descrizioni narrative  e dimesse del vocalist Stefano Cavirani, per poi  sfrecciare con 4 minuti strumentali di virtuosa efficacia, finchè il vento finale spazza via ogni libertà di pensiero fin qui contemplata.  Ora fatevi due conti: essere pervasi dalla malinconia ci può anche stare, basta però non incappare nel destino degli anelli di Saturno,  riconosciuti instabili e con vita relativamente breve: non sarebbe il massimo della coerenza che suggerisce… l’Ordine Naturale Delle Cose. (Max Casali)