MAX GRASSI  "Bogart Hotel"
   (2017 )

Il tennis italiano è stato narrato nella sua rivista più autorevole per 17 anni da Max Grassi, che però già prima di iniziare la sua carriera giornalistica aveva già inciso due dischi a fine anni Novanta. Nel 2008 arriva l'album autoprodotto "La vita che resta", e adesso arriva il vero e proprio esordio con "Bogart Hotel". Undici canzoni come undici stanze del Bogart Hotel, con undici storie da raccontare, scelta che ricorda l'album "King of the minibar" di Marti, ambientato in un albergo di Berlino; ma a differenza di quelle atmosfere, a metà tra Nick Cave e colonna sonora, qui approdiamo ad un pop abbastanza riconoscibile nel filone del cantautore italiano e rivolto ad un pubblico mainstream. Grassi si è avvalso di ospiti specialissimi, soprattutto di Andrea Righetti al basso, per tutti Rigo, che spicca quasi in tutte le canzoni, caratterizzandole in maniera determinante. La produzione è di Livio Magnini, schermidore e chitarrista dei Bluvertigo, che infatti lascia la sua firma, carica di feedback, nel primo pezzo "Il buio". Questa canzone apre a un pop dall'arrangiamento bowiano, forse per la presenza del bluvertighiano, o forse a causa del basso à la "Heroes". La voce di Max invece è asciutta, ed i testi sono semplici e diretti, vertono spesso e volentieri sui problemi dell'amore, la confusione fra eros e agape, ma soprattutto la nostalgia del desiderio d'inizio storia, come in "Lettera quasi d'amore" ("I respiri a bocca aperta che applaudivano l'aria, ti ricordi quante storie che eravamo noi due?"). "Jeanne e Amedeo" invece racconta della travagliata storia d'amore tra la pittrice francese Jeanne Hébutierne e lo scultore livornese Amedeo Modigliani. In un certo senso questa canzone conclude il racconto iniziato nel 1991 da Vinicio Capossela in "Modì", laddove Capossela raccontava dal punto di vista della donna. Invece qui la narrazione è esterna, e arriva alla tragica fine tra i due. Dopo poco che egli morì, lei si tolse la vita: "Come il vestito che ti hanno trovato addosso, il giorno che ti hanno trovato come vernice che sul pavimento cola, come il tuo amore che con una capriola si è buttata giù, disperatamente giù, e tutti a chiedersi perché, con quel bambino che...". L'ambientazione musicale, essendo francese, ospita la stereotipata fisarmonica. La romantica malinconia continua con "Indietro non si torna", un classico blues rock con assolo di pianoforte. Il sentimento diventa predominante in "A febbraio", delicato pezzo che inizia con un'ambientazione nella neve: "Era una sera fredda di febbraio, Milano girava sulla giostra in bianco e nero, lungo il Naviglio un vecchio chiosco e un benzinaio, e le mie frasi sopra il tuo sorriso vero...". Tra dolcezza e melanconia la tromba esegue il suo assolo elegante. L'arrangiamento è ricco di percussioni, tra cui anche le nacchere. Uscendo dai temi amorosi, "Io sono nessuno" aumenta l'elemento drammatico, in un 6/8 con viola e glockenspiel all'unisono. Protagonista della canzone è quel tipo che abbiamo conosciuto tutti in treno, che ci lascia un biglietto con richiesta di elemosina; Grassi si immagina i suoi pensieri rivolti a noi che lo ignoriamo: "Me ne vado di carrozza in carrozza sporco, così mi volete nei vostri occhi, è l'icona...". L'amore ritorna in forma di perdono nella titletrack, ma questo albergo diventa simbolo di un'ingenua nostalgia: "Sto aspettando senza un senso, sotto la stella del Bogart Hotel". Il cantautore ritrova un po' di calore pensando al suo modo di vivere con un amico, nel pezzo più sereno "Vagabondi a metà": "Lungo la strada siamo in due, due comici senza contratto (...), due piccoli, due vecchie osterie...". Un ritmo dritto con basso elettronico porta a una canzone che tratta uno dei temi più frequentati dai cantautori, quello delle foto che tengono le emozioni "al riparo dal tempo": "Click (scatta la fotografia)". "Giorni e giorni" e "Pagine gialle" concludono questo album pieno di specchi, riflessioni, e deja-vu concettuali dai quali è un po' difficile estrarre degli elementi di novità. Grassi si trova a suo agio nella descrizione senza metafore complicate dell'amore quotidiano e riconoscibile, mentre risulta un po' stucchevole quando tenta di buttarla sul sociale con "Io sono nessuno". Per i futuri testi si potrebbe giocare un po' di più (come in "Jeanne e Amedeo", il pezzo migliore), magari attingendo dalla propria conoscenza sportiva. Sport e musica hanno moltissimo in comune, e il loro incontro spesso fa faville. (Gilberto Ongaro)