

			
MATTEO PASSANTE E LA MALORCHESTRA  "Il grande stupore"
   (2017 )
		
			 Non mi risulta che qualcuno abbia fatto parlar di sé per essere un conformista o per aver osato poco. Diverso  è il discorso di chi, nel microcosmo creativo, non cade nello stagno tradizionale di proposte acquitrinose per tentare di spingersi oltre a usuali visioni. Al terzo disco, Matteo Passante ha immesso quello strato di cosciente immaturità per congegnare “Il grande stupore” con 11 rotelle che fan girare l’ingranaggio dell’album con ticchettio efficiente e regolare.  Spalleggiato dall’ottima  Malorchestra e la produzione artistica di Lele Battista, l’opera è tutt’altro che egocentrica, in quanto dà ampio spazio a vicende altrui, descritte con occhio vigile e percezioni attitudinali che, per Matteo, sono  irrinunciabile alimento ispirativo.  Il ventaglio stilistico  è molto ampio: c’è la marcetta dark-pop di “Il museo dei disamori” come  il charleston-reggae di “Endrigo e le bolle a mano”, piuttosto atipico e gustosamente disincantato, o l’ironico mea-culpa del mondo maschile di “Noi uomini”.  Sorprese  che sfilano con disinvoltura: il singolo “1958”, con narrazione tribal-rap,  affonda nella terribile argomentazione della colonizzazione opportunistica, soprattutto mentale, quella sottile e perfida della persuasione manipolativa del popolo; “Parlarsi addosso” è piuttosto sarcastica, col suo richiamo ossessivo a vivere con dignità e provare a reagire per non rischiare di finire inconsapevolmente  bolliti gradualmente come la rana di Chomsky. “L’amore è dei miopi” fa presa per il clima sospeso e surreale con gocce di tastiere sognanti e vintage. In virtù di quanto scritto,  lo “Dichiarerò per sempre” che questo  è disco con contorni sopraffini  e, nello specifico episodio, con eleganti  incastri di mandolino, clavicembalo e cello su vocalità intimistica. A chiudere c’è “Pirati stanchi”, che riflette il mood del pezzo, lento è un po’ svogliato nel suo cantare riflessivo. Sappiamo che  Icaro fallì il volo con disciolte ali di cera. Invece, ci siamo accorti che “Il grande stupore” che ci riserva Matteo Passante è quello di aver cristallizzato le sue ali per direzionarle controcorrente, su altri cieli cantautorati, librando soavemente come pochi. (Max Casali)
Non mi risulta che qualcuno abbia fatto parlar di sé per essere un conformista o per aver osato poco. Diverso  è il discorso di chi, nel microcosmo creativo, non cade nello stagno tradizionale di proposte acquitrinose per tentare di spingersi oltre a usuali visioni. Al terzo disco, Matteo Passante ha immesso quello strato di cosciente immaturità per congegnare “Il grande stupore” con 11 rotelle che fan girare l’ingranaggio dell’album con ticchettio efficiente e regolare.  Spalleggiato dall’ottima  Malorchestra e la produzione artistica di Lele Battista, l’opera è tutt’altro che egocentrica, in quanto dà ampio spazio a vicende altrui, descritte con occhio vigile e percezioni attitudinali che, per Matteo, sono  irrinunciabile alimento ispirativo.  Il ventaglio stilistico  è molto ampio: c’è la marcetta dark-pop di “Il museo dei disamori” come  il charleston-reggae di “Endrigo e le bolle a mano”, piuttosto atipico e gustosamente disincantato, o l’ironico mea-culpa del mondo maschile di “Noi uomini”.  Sorprese  che sfilano con disinvoltura: il singolo “1958”, con narrazione tribal-rap,  affonda nella terribile argomentazione della colonizzazione opportunistica, soprattutto mentale, quella sottile e perfida della persuasione manipolativa del popolo; “Parlarsi addosso” è piuttosto sarcastica, col suo richiamo ossessivo a vivere con dignità e provare a reagire per non rischiare di finire inconsapevolmente  bolliti gradualmente come la rana di Chomsky. “L’amore è dei miopi” fa presa per il clima sospeso e surreale con gocce di tastiere sognanti e vintage. In virtù di quanto scritto,  lo “Dichiarerò per sempre” che questo  è disco con contorni sopraffini  e, nello specifico episodio, con eleganti  incastri di mandolino, clavicembalo e cello su vocalità intimistica. A chiudere c’è “Pirati stanchi”, che riflette il mood del pezzo, lento è un po’ svogliato nel suo cantare riflessivo. Sappiamo che  Icaro fallì il volo con disciolte ali di cera. Invece, ci siamo accorti che “Il grande stupore” che ci riserva Matteo Passante è quello di aver cristallizzato le sue ali per direzionarle controcorrente, su altri cieli cantautorati, librando soavemente come pochi. (Max Casali)