ALESSANDRO PELAGATTI  "Planet soul"
   (2017 )

Sì è vero, nello spazio il suono non si propaga, ma usando l'immaginazione, pensate ad un pianista che volteggia fra le stelle, col suo pianoforte a coda. Il compositore Alessandro Pelagatti ha voluto dedicare uno spettacolo musicale al nostro Sistema Solare, scrivendo una melodia indirizzata a quasi ogni pianeta. Partendo dalla nostra stella, "The Sun stops" espone un tema di tempo largo, su arpeggi quieti. Ogni misura viene portata a termine con un leggero stentato, mentre la melodia passa sotto un effetto eco. Dopo tre minuti di pianoforte da solo, arriva una rullata che avvia un'orchestra digitale, e il pensiero vola subito a Vangelis e ai suoi campi oceanici (di corallo). Pelagatti gioca le sue carte sull'emozionalità dei brani e dei suoni, ma passando a "Jumping Mercury" si entra in un ritmo decisamente più vivace. Un 6/8 agitato come il piccolo pianeta, che all'equatore passa dai -173° ai 427° di temperatura. Il pianoforte è accompagnato da percussioni latineggianti e incalzanti. Si torna ad una calma serena in "Venus Spell", meno lenta di quella ispirata dal Sole, poiché si tratta di calma apparente. La magia di Venere, pianeta che simboleggia la femminilità, sta nel fatto che ospita un'eterna tempesta, ma al contempo è il pianeta più luminoso visto da qui. Così Alessandro suona una melodia molto tenera e brillante, però sostenuta da arpeggi rapidi. Il nostro satellite invece viene descritto in maniera più malinconica, in "Moon faces", forse perché secondo Ariosto la Luna raccoglie il senno di chi l'ha perso, o forse perché osservando costantemente le condizioni della Terra non può far altro che sospirare; ma non è una tragedia greca, è solo un po' di grigiore iniziale, perché poi da metà il brano si fa positivo e consolante, andando ad esplorare l'altra faccia, che non si gira mai verso di noi, perciò riesce ancora a sognare. Ma dall'altra parte c'è il virile battagliero, "Mars the Warrior". Qui Pelagatti mostra la sua attitudine rock, suonando uno shuffle con un pedale armonico al centro che concede dei tuoni su scala misolidia (e per questo rock). A sorpresa ora non arriviamo subito a Giove, e ci imbattiamo in "The Victory of Minerva". Minerva è un pianeta immaginario che sta tra Marte e Giove (in pratica in mezzo alla fascia di asteroidi, una vita difficile...). Secondo la leggenda, da lì discende la razza umana, e il brano ha un sapore d'avventura. Ora però torniamo ai pianeti reali, "Back to Jupiter". Il gigante della famiglia viene rappresentato in un tempo maestoso, e con un tema suonato con particolare enfasi tardo ottocentesca. Nonostante il senso di grandeur espresso, non vi è pesantezza, così come Giove, nonostante le dimensioni, è costituito quasi totalmente da gas. Il secondo pianeta più grande, "Deep Saturn", è raccontato in maniera austera, con note prevalentemente di registro medio e basso, e molta presenza caratterizzante della mano sinistra. Gli anelli di Saturno vengono ignorati, focalizzandosi più sul nucleo profondo del pianeta, che è roccioso e simile al nostro, rappresenta l'altro da sé che in qualche modo ci assomiglia. In questa esplorazione, Urano è il grande assente, forse perché non sufficientemente attraente, e si conclude il viaggio su "The Rings of Neptune". Eh sì, perché anche Nettuno ha degli anelli, seppure molto deboli. Il pezzo, introdotto da un'elettronica appena abbozzata, è costituito da un 3/4 dove le note paiono danzare; con delle progressioni e dei climax intensi, Pelagatti ci fa emozionare per l'ultima volta, lasciando che la coda che termina il brano venga raggiunta da una piccola campana tibetana. Restiamo così in orbita, vicino al pianeta blu, e possiamo scegliere se tornare subito al rumore terrestre, o continuare per un po' a vagare nel silenzio dell'universo. (Gilberto Ongaro)