EAST MAN  "Red, white and zero"
   (2018 )

Anthoney J Hart è un artista elettronico inglese che ha diretto diversi progetti, da Imaginary Forces a Basic Rhythms, dove esplora gli stili drum'n'bass e techno, con un approccio sperimentale che a tratti ricorda quello pionieristico di Aphex Twin. Sotto il nuovo moniker East Man, Hart con questo ''Red, white and zero'' (appena uscito per Planet Mu records) ha scelto un percorso simile a quello dell'ultimo album dei Gorillaz ("Humanz"): ha radunato molti rappers, nel suo caso dalla scena underground londinese, per i quali ha devastato i suoi precedenti lavori, riducendoli all'osso, spesso facendone restare solo residui percussivi, con solo qualche sprazzo di note musicali negli arrangiamenti. Questo sia per dare più spazio ai vari MCs che si avvicendano nelle tracce, sia per rappresentare sonoramente quell'urban feeling che solo le periferie di grandi metropoli possono avvertire. Ed è interessante che questa metropoli non sia New York, bensì Londra, città che diverse persone, con un malcelato piglio politico-polemico, ormai preferiscono chiamare Londonistan, visto l'alto tasso di immigrazione, e forse anche con riferimento all'origine pakistana dell'attuale sindaco, Sadiq Aman Khan. L'elemento sociale è fondamentale per comprendere il senso di questo lavoro. Le giovani generazioni sono emarginate, e necessitano punti di riferimento, di identità e di appartenenza. Appartenenza che, un po' per reazione, si fa anche stretta ed esclusiva. Personalmente ho sempre avuto difficoltà a comprendere il rap in inglese: stavolta ho dovuto rallentare i brani per riuscire a star dietro alle parole, e capire che tipo di racconti sono quelli di Saint P, Darkos Strife, Killa P, Irah, Eklipse, Lyrical Strally e Kwam, gli ospiti di East Man. Tuttavia la mia difficoltà è rimasta, in quanto è presente una larga dose di accenti dialettali e di slang che negano la comprensibilità totale a chi non è "uno di loro"; e con tutta probabilità è una cosa voluta. Del resto è sempre stata così la scena rap più genuina, quella fuori dalle innocue mode televisive, tutto fumo dell'atteggiamento swag e niente arrosto della cultura di strada. Tra ciò che ho compreso, in "Can't tell me 'bout nothing" ho sgamato "Snapchat", sopra la drum machine che assomiglia alla 808, oppure in "Cruisin'": "Life can be difficult but I still keep on moving". Tra le performance spicca quella di Irah in "War", dal timbro vocale grosso ed aggressivo quasi come quello di MC Ride nei Death Grips. Emerge una generale volontà di resistenza alla violenza della società contro i più deboli, ma anche dei precisi riferimenti culturali che se non afferri forse stai invecchiando, come il sottoscritto. Ci sono anche tracce in cui East Man si riporta al centro dell'attenzione, come l'opener "East Man Theme", con scratching, loop di bassi da far tremare i subwoofer, e campioni di voce tra i quali spicca "Listen!", messo in evidenza per invitare l'ascoltatore all'attenzione. L'episodio che resta più impresso è "Drapesing", basato su tre gravi note inquietanti (compiono un semitono e un tritono). Le voci non rappano, conversano a proposito di soldi, polizia e di amici picchiati, mentre i suoni synth crescono d'intensità e drammaticità da colonna sonora. "Red, White and Zero" si presenta così, ricco di testimonianze e di segreti che vogliono essere ascoltati e svelati, visto che sia gli eurozotici, che i borghesi "illuminati e aperti" (che però restano dentro i loro tranquilli quartieri uptown), dovranno fare i conti prima o poi con la crescente generazione di afroeuropei, possibilmente senza rifare gli errori degli Stati Uniti e del Sudafrica. (Gilberto Ongaro)