

			
NUJU  "Storie vere di una nave fantasma"
   (2018 )
		
			 Il quinto album di studio (sesto se consideriamo la raccolta dell’anno scorso) della band Nuju (calabrese di origine ma emiliana d’adozione) conferma il loro stile folk/pop. I pirati e pagliacci del folk - come amano autodefinirsi - sono tornati, con un disco che racconta dodici storie ispirate dal loro tour dello scorso anno in lungo e largo per la penisola, e dai personaggi che hanno incontrato. Un disco colorato, allegro, “circense” nell’accezione migliore del termine, che suona un po’ BandaBardo’ e un po’ ha il sound balcanico del miglior Bregovic. I testi ironici nascondono spesso riferimenti all’attualità, e la lingua usata non è solo l’italiano ma anche l’inglese, il tedesco (in “Gluck”), e pure il dialetto che fa capolino di tanto in tanto in alcuni brani. Uno dei pezzi migliori è “Pagliaccio”, che parla malinconicamente a ritmo di tango dell’uccisione del “clown di Aleppo” nel 2016 sotto un bombardamento. Un’altro testo di attualità è quello di “Arrivano dal mare”, che tratta degli sbarchi clandestini sulle nostre coste, mentre “Polvere tra i sassi” permette di rallentare il ritmo in mezzo agli altri brani tutti scatenati, dall’iniziale “Burattinaio”, che introduce il clima fiabesco dell’album, a “Una faccia di razza”, tipico folk a ritmo sostenuto. Ci si “calma” (anche come testi) nella conclusiva “La città degli innamorati”, con il suo ottimismo ironico. Tra reggae, ska e folk a tempo tiratissimo, i 40 minuti del disco scorrono via veloci lasciando all’ascoltatore la sensazione piacevole di aver tra le mani un ottimo prodotto creato da grandi artigiani della musica, dallo stile personalissimo. (Francesco Arcudi)
Il quinto album di studio (sesto se consideriamo la raccolta dell’anno scorso) della band Nuju (calabrese di origine ma emiliana d’adozione) conferma il loro stile folk/pop. I pirati e pagliacci del folk - come amano autodefinirsi - sono tornati, con un disco che racconta dodici storie ispirate dal loro tour dello scorso anno in lungo e largo per la penisola, e dai personaggi che hanno incontrato. Un disco colorato, allegro, “circense” nell’accezione migliore del termine, che suona un po’ BandaBardo’ e un po’ ha il sound balcanico del miglior Bregovic. I testi ironici nascondono spesso riferimenti all’attualità, e la lingua usata non è solo l’italiano ma anche l’inglese, il tedesco (in “Gluck”), e pure il dialetto che fa capolino di tanto in tanto in alcuni brani. Uno dei pezzi migliori è “Pagliaccio”, che parla malinconicamente a ritmo di tango dell’uccisione del “clown di Aleppo” nel 2016 sotto un bombardamento. Un’altro testo di attualità è quello di “Arrivano dal mare”, che tratta degli sbarchi clandestini sulle nostre coste, mentre “Polvere tra i sassi” permette di rallentare il ritmo in mezzo agli altri brani tutti scatenati, dall’iniziale “Burattinaio”, che introduce il clima fiabesco dell’album, a “Una faccia di razza”, tipico folk a ritmo sostenuto. Ci si “calma” (anche come testi) nella conclusiva “La città degli innamorati”, con il suo ottimismo ironico. Tra reggae, ska e folk a tempo tiratissimo, i 40 minuti del disco scorrono via veloci lasciando all’ascoltatore la sensazione piacevole di aver tra le mani un ottimo prodotto creato da grandi artigiani della musica, dallo stile personalissimo. (Francesco Arcudi)