

			
OVEST DI TAHITI  "Luci della città"
   (2018 )
		
			 Ogni piccolo bagliore emotivo può suscitare una miriade di sensazioni ma, se la luce vera è quella che riusciamo a ripristinare quando si cade in oscuri tunnel di vita, riusciremo a rialzarci con luminosa ripartenza. E’ una semplice e (più che mai) attuale filosofia, in cui crede  fermamente il quartetto pugliese degli Ovest di Tahiti, ostentandola in guanti bianchi con gli otto pezzi del raffinato debutto “Luci della città”. Le accendono subito in “Autostrada”, lungo il circuito  dondolante del brano che arpeggia quadretti  notturni e lascia ampio spazio al libero fantasticare, con un fischiettare spensierato.  Una band per nulla “Indifferente” all’approccio: basta valutare questo singolo per farsi l’idea di come una scrittura possa condensare tanta emozione, con la voce di Luigi Lafiandra che, nei picchi vocali, graffia roca e vibrante.  Invece,  con “Taking over the reason” i quattro vogliono ritagliarsi un excursus in  inglese per stuzzicare un ascolto internazionale, in cui la densità emotiva è assicurata sotto stilemi  dream-pop con belle chitarre riverberate ed un narrare da apprezzabile storyteller.  A metà percorso, la strada si colora di “Arancione” con atmosfere delicate e ammalianti, nelle quali né i Beach House né Niccolò Fabi avrebbero nulla da obiettare per l’ottima ispirazione assemblativa.   Ogni piccola luce di  questo esordio vive pienamente in antitesi: la puoi scorgere dietro una gioia o celata dietro la malinconia, ma comunque con lo stupore di chi si approccia alla vita, sempre pronto ad accettare i più svariati sentimenti e stati d’animo.  Però, ad essere onesti, ci sembra che la seguente “Nebbia scura” sia caliginosa nel suo andare altalenante di banjo  e labbra che tentano di produrre un commento di tromba! Tralasciando questa piccola dèbacle,  è certo che nella lista c’è  “Qualità”: stavolta i ragazzi si lasciano andare con un un brano meno serio ed impettito, e ciò  serve  alla band per  mostrare anche aspetti insoliti fin qui perseguiti.  Infine, dopo la passionale “Lettera per gli ignavi”, con bella tratta strumentale, chiude la title-track in un’atmosfera eterea ed incorporea, dove regna una chitarra acustica Battistiana e sferzate di elettrica ad accentuarne l’indotta esplorabilità, con un magnifico trillato a sigillarne la chiusura.   Se non fosse ancora chiaro,  “Luci della città”  emana  tanto  fascino quanta dosata suggestione,  poiché gli Ovest di Tahiti riluttano  ogni ampollosità ed opulenza,  per colpire con quello speciale minimalismo così raro da trovare in una opera prima. (Max Casali)
Ogni piccolo bagliore emotivo può suscitare una miriade di sensazioni ma, se la luce vera è quella che riusciamo a ripristinare quando si cade in oscuri tunnel di vita, riusciremo a rialzarci con luminosa ripartenza. E’ una semplice e (più che mai) attuale filosofia, in cui crede  fermamente il quartetto pugliese degli Ovest di Tahiti, ostentandola in guanti bianchi con gli otto pezzi del raffinato debutto “Luci della città”. Le accendono subito in “Autostrada”, lungo il circuito  dondolante del brano che arpeggia quadretti  notturni e lascia ampio spazio al libero fantasticare, con un fischiettare spensierato.  Una band per nulla “Indifferente” all’approccio: basta valutare questo singolo per farsi l’idea di come una scrittura possa condensare tanta emozione, con la voce di Luigi Lafiandra che, nei picchi vocali, graffia roca e vibrante.  Invece,  con “Taking over the reason” i quattro vogliono ritagliarsi un excursus in  inglese per stuzzicare un ascolto internazionale, in cui la densità emotiva è assicurata sotto stilemi  dream-pop con belle chitarre riverberate ed un narrare da apprezzabile storyteller.  A metà percorso, la strada si colora di “Arancione” con atmosfere delicate e ammalianti, nelle quali né i Beach House né Niccolò Fabi avrebbero nulla da obiettare per l’ottima ispirazione assemblativa.   Ogni piccola luce di  questo esordio vive pienamente in antitesi: la puoi scorgere dietro una gioia o celata dietro la malinconia, ma comunque con lo stupore di chi si approccia alla vita, sempre pronto ad accettare i più svariati sentimenti e stati d’animo.  Però, ad essere onesti, ci sembra che la seguente “Nebbia scura” sia caliginosa nel suo andare altalenante di banjo  e labbra che tentano di produrre un commento di tromba! Tralasciando questa piccola dèbacle,  è certo che nella lista c’è  “Qualità”: stavolta i ragazzi si lasciano andare con un un brano meno serio ed impettito, e ciò  serve  alla band per  mostrare anche aspetti insoliti fin qui perseguiti.  Infine, dopo la passionale “Lettera per gli ignavi”, con bella tratta strumentale, chiude la title-track in un’atmosfera eterea ed incorporea, dove regna una chitarra acustica Battistiana e sferzate di elettrica ad accentuarne l’indotta esplorabilità, con un magnifico trillato a sigillarne la chiusura.   Se non fosse ancora chiaro,  “Luci della città”  emana  tanto  fascino quanta dosata suggestione,  poiché gli Ovest di Tahiti riluttano  ogni ampollosità ed opulenza,  per colpire con quello speciale minimalismo così raro da trovare in una opera prima. (Max Casali)