PRINS OBI & THE DREAM WARRIORS  "Prins Obi & The Dream Warriors"
   (2018 )

Dalla Grecia conosciamo un gruppo che ha ben imparato la lezione dei primissimi Pink Floyd, quelli illuminati dal faro multicolore di Syd Barrett. Il loro sound è volutamente vintage, così come la costruzione dei pezzi. Anche il mix, la scelta degli effetti vocali, l’inconfondibile basso ciccione (una raffinatezza), le chitarre nasali e l’hammond di scuola Manzarek, rendono il loro omonimo album “Prins Obi & The Dream Warriors”, un disco proveniente da una macchina del tempo, giunto a noi dal 1969. Invece è il 2018, e abbiamo un’ampia scelta di groove coinvolgenti, fra le tracce di questo disco. A partire dal primo riff di basso “Concentration”, con un pianoforte in odore di Supertramp, con un refrain lisergico e scanzonato. In “Flower Child (Reprise)” il tempo parte veloce per poi accelerare ulteriormente. La voce di Prins Obi in “Negative people” subisce un effetto tremolo che la rende liquida, come fosse sott’acqua. E lo sentiamo cantare nella propria madrelingua, il greco. “Astral Lady Blues” riprende il più classico giro blues e ne fa un rock and roll con chitarra distorta, tromba e sax e organo. Il finale ricorda il riff spaziale di “Interstellar Overdrive”. Il ritmo rallenta nel cadenzato ben marcato di “Fingers”, sempre con il basso in prima linea. Il pezzo ha una melodia che lo rende potenzialmente pop. Poi arriva “Δίvη” (“Dinh”), traducibile con “vortice”. E qui un basso ossessivo e una sequenza di accordi anarchica, oltre a degli incisi di chitarra, ci intrippano davvero, mentre la voce canta in greco, intonando una melodia che gioca sui semitoni assieme all’hammond. In poche parole: brano magico! Stessa cosa dicasi per “Sally Jupinero”, dove, se la strofa sembra incalzare una progressione da lento italiano anni ’60, il ritornello invece dirotta su giochi di accordi barrettiani, con un incedere tipicamente britannico. “Adamantina Ftera” è un altro esempio di freschezza compositiva, partendo da una filigrana sognante, per attraversare un acid funk e approdare a sorpresa in una corsa beat. Nota di valore le percussioni nell’arrangiamento. Ancora sensazione di vinile e immagini sgranate anni ’60 – ’70, con “Guilty pleasure theme (feat. Bjenni Montero)”, con giochi d’hammond da Doors, un ponte di vibrafono e uno special con comiche armoniche a bocca. Un breve strumentale, “For absent friends”, mostra la creatività alle tastiere, in un 3/4 con echi de Le Orme, e in chiusura all’onirico disco, un delicato ma intrigante brano per pianoforte e voce, “Wide open”, dove dal testo si può estrarre un verso che descrive le modalità comunicative e istintive del progetto: “Say to me something primitive”. I Dream Warriors, assieme a Prins Obi, lasciano uscire impuniti la loro passione istintiva per questo stile, così precisamente collocato nel tempo, che è un piacere poterlo rispolverare adesso. Un’operazione effettuata con intenzione genuina e rigenerativa, che al giorno d’oggi si potrebbe affiancare a quella dei Greta Van Fleet, bravi figli dei Led Zeppelin. (Gilberto Ongaro)