

			
CREVICE  "Pesci"
   (2019 )
		
			 I Crevice  sono un trio  milanese,  già attivo  da una dozzina d’anni  ma, sinceramente,  non so quante altre bands avrebbero resistito agli innumerevoli cambi di formazione subiti negli anni.  E questa caparbietà  si riflette decisamente nella natura del loro sound: indie-rock dalla compatta  potenza espressiva e frange di pop struggente.  A cinque anni dall’esordio “Aspetto nel fuoco”, il ritorno in scena è sancito dagli otto brani di “Pesci”, la cui copertina è l’eloquenza silente della condizione umana: perennemente muta, facilmente preda degli  abboccamenti del Potere ed incapaci di reagire in condizioni innaturali.
All’entrata, spalmano “Cioccolata” con vigorosa intro in stile Negramaro (“Solo”) sfogando, in itinere,  passaggi riflessivi alternati  a pulsioni rabbiose, esponendo in vetrina  la potente  voce di Elia Biancardi, mentre chitarroni a cascata si gettano su  “Dimmi”, per far fluire l’ottimo ruscello cantautorale della band, per un brano che coniuga grinta e dolente romanticismo con tenace impasto grunge.  Invece,  “Granito” sposta l’asse scritturale verso un Indie-pop molto fruibile, con gocce di  tastiere e velato tribalismo di fondo, accompagnando il lobo in àmbiti astratti.  Che siano “Liberi” nell’arbitrio è fin troppo chiaro  in questa traccia, che vomita strali di power-sound e magnetizza chiunque gli capiti a tiro, fagocitando in un formidabile mulino sonoro.  Ora, spetta a “Non chiamarla malinconia” e a “Pesci” coprire angolature di ballad, ma sempre con quell’apprezzabile energia che serve per non far colare troppa melassa sullo spartito: un binomio, questo, che porta sempre risultati convincenti, anche quando la narrazione  necessita di contenuti più contemplativi.  Infatti, ci importa poco se in “Stupido” qualcuno potrà scorgere, nel cantato  di Elia,  analogia d’ugola con  Mengoni: qui conta l’emozione palpabile fornita dal pathos etereo del brano e nulla più, in cui le (possibili) rassomiglianze lasciano il tempo che trovano.  In chiusura, il  basso pulsante di Andrea Nembri, militante  nel singolo  “Viola”, sostiene un mix stilistico di tutto rispetto: sferzate di rock-grunge, spolverate di shoegaze  e gran pacca cantautorale, frullato con solida  effervescenza esecutiva.  E’ già insito nel nome  dei Crevice il bel destino  che  li attende: incidere quella “fessura” convincente e tonificante  sulla pantagruelica tavolata  del mainstream.  Basterà conservare ostinazione costruttiva e non abbuffarsi troppo con portate di complimenti. (Max Casali)
I Crevice  sono un trio  milanese,  già attivo  da una dozzina d’anni  ma, sinceramente,  non so quante altre bands avrebbero resistito agli innumerevoli cambi di formazione subiti negli anni.  E questa caparbietà  si riflette decisamente nella natura del loro sound: indie-rock dalla compatta  potenza espressiva e frange di pop struggente.  A cinque anni dall’esordio “Aspetto nel fuoco”, il ritorno in scena è sancito dagli otto brani di “Pesci”, la cui copertina è l’eloquenza silente della condizione umana: perennemente muta, facilmente preda degli  abboccamenti del Potere ed incapaci di reagire in condizioni innaturali.
All’entrata, spalmano “Cioccolata” con vigorosa intro in stile Negramaro (“Solo”) sfogando, in itinere,  passaggi riflessivi alternati  a pulsioni rabbiose, esponendo in vetrina  la potente  voce di Elia Biancardi, mentre chitarroni a cascata si gettano su  “Dimmi”, per far fluire l’ottimo ruscello cantautorale della band, per un brano che coniuga grinta e dolente romanticismo con tenace impasto grunge.  Invece,  “Granito” sposta l’asse scritturale verso un Indie-pop molto fruibile, con gocce di  tastiere e velato tribalismo di fondo, accompagnando il lobo in àmbiti astratti.  Che siano “Liberi” nell’arbitrio è fin troppo chiaro  in questa traccia, che vomita strali di power-sound e magnetizza chiunque gli capiti a tiro, fagocitando in un formidabile mulino sonoro.  Ora, spetta a “Non chiamarla malinconia” e a “Pesci” coprire angolature di ballad, ma sempre con quell’apprezzabile energia che serve per non far colare troppa melassa sullo spartito: un binomio, questo, che porta sempre risultati convincenti, anche quando la narrazione  necessita di contenuti più contemplativi.  Infatti, ci importa poco se in “Stupido” qualcuno potrà scorgere, nel cantato  di Elia,  analogia d’ugola con  Mengoni: qui conta l’emozione palpabile fornita dal pathos etereo del brano e nulla più, in cui le (possibili) rassomiglianze lasciano il tempo che trovano.  In chiusura, il  basso pulsante di Andrea Nembri, militante  nel singolo  “Viola”, sostiene un mix stilistico di tutto rispetto: sferzate di rock-grunge, spolverate di shoegaze  e gran pacca cantautorale, frullato con solida  effervescenza esecutiva.  E’ già insito nel nome  dei Crevice il bel destino  che  li attende: incidere quella “fessura” convincente e tonificante  sulla pantagruelica tavolata  del mainstream.  Basterà conservare ostinazione costruttiva e non abbuffarsi troppo con portate di complimenti. (Max Casali)