

			
MO' BETTER SWING  "Swinky"
   (2019 )
		
			 Sono nove anni di vita artistica spesi bene, quelli del collettivo milanese dei Mo’ Better Swing che, dopo il primo lavoro del 2014, danno ora vita a “Swinky”: 13 pezzi  che riportano in auge quelle suggestive sonorità delle big band, fuse con groove jive e funky, in un arco temporale che abbraccia un quarantennio (dal 1930 al 1970) ed allestite con dovizia tecnica ineccepibile, coadiuvati da un’apoteosi di sezione fiati e cori di pregiati musicisti che completano la line-up  esecutiva. Ci pensa “Resto qui da sola” ad introdurci nel succitato clima retrò, con un jive ben cadenzato ed ironia strisciante, mentre “Ring swing” ha briosi richiami alla Quartetto Cetra, con un narrato saltellante tra swing e charleston. Invece, “La brava gente” congloba vari inserti  di jazzy, fusion e spoken-word, rendendo  la traccia tra le più interessanti del percorso.  “Autunno a Milano” è una splendida cover intimista, che rende  pregevolmente omaggio al suo immenso autore (Piero Ciampi), con quella raffinatezza vocale che incanta i neuroni dell’ascolto. Si allunga la pausa distensiva  con “E prendiamoci un caffè”, sussurrata con tessuto stilistico à la Matt Bianco in  chiave slow.   Risulta chiaro  che, per i Mo’ Better Swing, “Il senso” di tutto l’album è condirlo in salsa mista, ed in questo atto tira  freschissima aria di Buscaglione in forma smagliante, mentre  la coppia “Ma io non ti guardo” e “Lei non sa (dire la verità)”  incorpora l’eleganza  di  racconti stilosi e carezzevoli tra garbate trombe, piano vellutato e contrabbasso chic. Con “Swinky” il combo meneghino  accentra maggiormente l'attenzione sulla band, introducendo la curiosa scelta di celare il volto del frontman, ed inoltre rimette in campo ricordi evergreen  per quelle ritmiche intramontabili che si respiravano nei locali fumosi della Grande Mela o filo-tabarin; ed il fatto di affidare, ad ogni brano, un’ugola diversa è una preziosità di grande effetto. Ancora una menzione merita la gran mole di tecnica messa in campo e mai in discussione.  “Swinky” è un loro neologismo, coniato  per sintetizzare  la fusione tra  swing e funky (e molto altro), e la colata dei Mo’ Better Swing surriscalderà, ancor di più,  la voglia di recuperare la  bella musica che fu. (Max Casali)
Sono nove anni di vita artistica spesi bene, quelli del collettivo milanese dei Mo’ Better Swing che, dopo il primo lavoro del 2014, danno ora vita a “Swinky”: 13 pezzi  che riportano in auge quelle suggestive sonorità delle big band, fuse con groove jive e funky, in un arco temporale che abbraccia un quarantennio (dal 1930 al 1970) ed allestite con dovizia tecnica ineccepibile, coadiuvati da un’apoteosi di sezione fiati e cori di pregiati musicisti che completano la line-up  esecutiva. Ci pensa “Resto qui da sola” ad introdurci nel succitato clima retrò, con un jive ben cadenzato ed ironia strisciante, mentre “Ring swing” ha briosi richiami alla Quartetto Cetra, con un narrato saltellante tra swing e charleston. Invece, “La brava gente” congloba vari inserti  di jazzy, fusion e spoken-word, rendendo  la traccia tra le più interessanti del percorso.  “Autunno a Milano” è una splendida cover intimista, che rende  pregevolmente omaggio al suo immenso autore (Piero Ciampi), con quella raffinatezza vocale che incanta i neuroni dell’ascolto. Si allunga la pausa distensiva  con “E prendiamoci un caffè”, sussurrata con tessuto stilistico à la Matt Bianco in  chiave slow.   Risulta chiaro  che, per i Mo’ Better Swing, “Il senso” di tutto l’album è condirlo in salsa mista, ed in questo atto tira  freschissima aria di Buscaglione in forma smagliante, mentre  la coppia “Ma io non ti guardo” e “Lei non sa (dire la verità)”  incorpora l’eleganza  di  racconti stilosi e carezzevoli tra garbate trombe, piano vellutato e contrabbasso chic. Con “Swinky” il combo meneghino  accentra maggiormente l'attenzione sulla band, introducendo la curiosa scelta di celare il volto del frontman, ed inoltre rimette in campo ricordi evergreen  per quelle ritmiche intramontabili che si respiravano nei locali fumosi della Grande Mela o filo-tabarin; ed il fatto di affidare, ad ogni brano, un’ugola diversa è una preziosità di grande effetto. Ancora una menzione merita la gran mole di tecnica messa in campo e mai in discussione.  “Swinky” è un loro neologismo, coniato  per sintetizzare  la fusione tra  swing e funky (e molto altro), e la colata dei Mo’ Better Swing surriscalderà, ancor di più,  la voglia di recuperare la  bella musica che fu. (Max Casali)