RADIOHEAD  "Amnesiac"
   (2001 )

Tutta la poetica di “Kid A” svanisce con “Amnesiac”; la costante ricerca di un’antitesi assoluta, spirituale e musicale, viene sostituita da uno sperimentalismo assai meno significativo dal punto di vista concettuale, ma comunque eccellente. Il nulla, l’oblio, il terrore, la glaciazione delle menti e la negazione di sé stessi che avevano reso il lavoro del 2000 immortale e unico si affievoliscono, il concept lascia sempre più spazio alle singole canzoni. Tutto ciò dà vita ad un disco molto eterogeneo, a tratti troppo freddo; più che un opera unitaria siamo di fronte a degli ottimi brani, senza collegamento fra loro. Si inizia con la danza sintetica di “Packt Like Sardines in a Crushd Tin Box”, un incedere sincopato e il canto depresso sono protagonisti in questo bislacca filastrocca indiana. Confrontato al brano d’inizio di “Kid A” ne esce forse vincitore dal punto di vista prettamente qualitativo, ma tutta la magia ossessiva è svanita. La cosa non si ripete con “Pyramid Song”, un eccellente pop sinfonico, impreziosito dal canto emozionato di Yorke che sfodera qui tutte la sua espressività. Il risultato è una delle canzoni migliori dei Radiohead. A questo punto inizia un viaggio tumultuoso tra nove spiazzanti episodi di creatività ed ispirazione. “Pulk/Pull Revolving Doors” è un martellante incubo elettronico; musica supercompressa, stordente e violenta, anche la voce è effettata al computer. Tutto questo intervallato da pochi secondi di pace. “You and Whose Army?” si spinge ancora più in là; una sorta di jazz, sonorità retrò e la voce anche qui effettata. Il testo è tra i più politicizzati e feroci del gruppo. Il connubio tra gradevolezza e ricercatezza è a livelli altissimi. Stesso discorso per la successiva “I Might Be Wrong”, rock del XXI secolo; una chitarra isterica, gli effetti sonori ed il canto insistente si fondono alla perfezione. Forse non molto coinvolgente, ma resta uno spunto ottimo per le possibili evoluzioni del rock. Dopo questi tre pezzi diversissimi tra loro i Radiohead ci concedono una pausa con “Knives Out”, una semplice melodia intrisa di emozioni; un altro eccellente esempio di alt-pop. A questo punto ci possiamo calare negli abissi della sperimentazione; evitato l’ostacolo di “Morning Bell/Amnesiac”, bella ma forzata, arriviamo a “Dollars & Cents”. Un sonnolento affresco del buio; gli archi avvolgenti supportano la lenta danza funebre. È il momento più vicino alle atmosfere di “Kid A”, buoi e isteria si fondono in un qualcosa di sfuggevole. “Like Spinning Place” è un altro incontro tra sperimentazione e melodia; basata sul suono di nastri mandati al contrario, è uno dei momenti più toccanti ed intimi, soprattutto per la voce fragile di Thom. Il disco si chiude come era iniziato e cioè all’insegna della creatività, dell’esplorazione di nuovi territori musicali e della solidità delle composizioni. “Live In a Glasshouse” è una banda di Orleans che incontra dei musicisti rock. Gli splendidi fiati si intrecciano con l’ennesima prova eccellente di Yorke; particolarmente bella nel ritornello, è probabilmente l’apice sperimentale dei Radiohead. “Amnesiac” si dimostra quindi più di un passo avanti rispetto a “Kid A”; ci sono più idee, più fiducia nei propri mezzi. L’elettronica si estende, si perfeziona ed assume diverse funzionalità. Si passa dai semplici effetti di contorno a composizioni incentrate su manipolazioni elettroniche. Ma non solo; se da una parte ritroviamo l’ispirazione rock, dall’altra scopriamo l’interessamento del gruppo per generi musicali molto distanti come il jazz. In questo splendido quadro ciò che manca è l’anima che il gruppo aveva messo nel disco precedente, non così creativamente esuberante, ma con una continuità e logica di concetto inarrivabili. Alla fine dei conti i due lavori si equivalgono; uno poetico, difficile e unitario; l’altro eterogeneo, stimolante ed asciutto. Non si raggiunge la perfezione, ma in entrambi i casi si arriva molto in alto. (Fabio Busi)