LE GRAND SBAM  "Vaisseau monde"
   (2019 )

È sempre un piacere, per chi analizza la musica, poter scrivere l’aggettivo “indefinibile”. La nostra attività necessita di etichette, non per incasellare gli artisti, ma per orientare i lettori, a capire se qualcosa può essere di loro gradimento o no. Questo è il caso in cui ci si trova in difficoltà a non dire qualcosa di più preciso di “sperimentale”,”folle”, o “avanguardia”, sebbene nel XXI secolo quest’ultimo termine non abbia più senso. Le Grand Sbam, nei sei brani dell’album “Vaisseau Monde”, ci presentano strutture inafferrabili e tantissimi accadimenti. Anche solo soffermandosi sul primo episodio “Dins o Sbam”, in 6 minuti e mezzo ascoltiamo talmente tante situazioni, che è arduo enumerarle tutte. Passaggi hard di basso sferragliante, percussioni saltellanti, shock ritmici e dinamici, dove le voci di Jessica Martin Maresco e Marie Nachury danzano con movenze imprevedibili. Passaggi sussurrati e poi sguaiatamente strillati, rapidissimi recitati isterici, e armonizzazioni ardite. Ma il secondo brano è la vetta della follia, lungo quanto il titolo: “Les lotus ont fleuri, je suis assis a cotè d'un éléphant aux oreilles usèes”. Questi 12 minuti iniziano con una metrica incomprensibile, sembra tutto traballante. Non poliritmia da jazz o prog: sembra proprio che la batteria ed il basso continuino ad accelerare e rallentare. Dopodiché, le voci vengono lasciate pressoché sole, commentate qua e là da tastiere e vibrafoni, in una stasi del tutto atonale. In una parola: paura. Elemento ricorrente sono gli staccati delle voci, che non si sa se prendere come umoristici o spaventosi. In “Kouìa”, le voci che glissano spesso verso l’acuto e prolungano le note, ricordano vagamente l’intenzione del teatro kabuki, e le percussioni, assieme alla batteria non ritmica, confermano questa dimensione in maniera entusiasmante. Più che musica narrativa, sembra un teatro sonoro astratto. Il finale conduce a “Woubit”, il cui fulcro è un’armonia vocale sospesa, sulla quale le voci alternano lunghe soffici note a velocissime parole, e proseguono in “Vishnu Foutroline”, raggiunte dal piano elettrico, e da un groove di basso e batteria sempre inquieto e complesso, ma almeno stavolta inquadrabile. Fra tessiture di vibrafono e slide di basso, le voci seguono percorsi difficili da mettere a fuoco, esaltandone l'elemento espressivo. La parte recitata rievoca certi surreali momenti recitati dei Primus. Il finale del brano e dell’album è lasciato a un coro vocale calmo ma non conciliante, dopo tutti gli shock subiti. Ammetto, non ho capito niente. E per questo, ritengo Le Grand Sbam assolutamente imperdibili. (Gilberto Ongaro)