IL SISTEMA DI MEL  "Addosso"
   (2020 )

Mentre il tempo trascorre impietoso ed inesorabile, è talvolta di conforto una qualche coperta di Linus. Serve un rifugio, un riparo, un nascondiglio dove celarsi alla vista. Un angolo sicuro, protetto, un grembo materno. Fosse anche soltanto un disco, una canzone, un verso di un brano da ricordare a memoria per i tempi bui in cui servono versi da ricordare a memoria.

Ecco, l’emocore è questo, pure adesso che gli anni alle spalle iniziano ad essere non pochi: una sicurezza, fatta di enormi insicurezze e debolezze alla portata di chicchessia. Voce dritta che canto non è quasi mai, tonalità minori, storie a pezzetti che vivono su brandelli di ricordi, fallimenti, sconfitte, dettagli. Piccole canzoni che si infilano in cunicoli di elettricità densa, sovraccarica di una tensione tutta interiore, costipata, nervosa, dolente.

Quando ho letto sulla cartella stampa che Il Sistema Di Mel – quartetto originario di Brescia al secondo album dopo il debutto su full length del 2017 – gravita dalle parti (tra gli altri) dei Fine Before You Came, ho sperato solo che fosse vero.

Sono bastati i primi venti secondi dell’opener “Versatile” a convincermi, ed il resto delle altre sette tracce a fare di “Addosso” una minuscola delizia per quel manipolo di tristoni che si ostinano ad urlare contro il cielo parole qualsiasi, flash qualsiasi, sfighe qualsiasi. Vere o no che siano – le tue, non le loro che te le gridano – si tratta di emozioni universali nelle quali gettarsi a capofitto senza ritegno né timore di versare una lacrimuccia.

Anzi, confiteor: sui due minuti di “Versatile” mi sono commosso. E sui neanche tre minuti di “Altura”, che la segue a ruota, mi sono asciugato gli occhi come un bimbo cui abbiano rubato il pallone, e sulla coda congesta di “Post-qualcosa” nulla è cambiato, come sui versi porto il cane a spasso pur di far vedere che ci tengo/fumo solo per l’odore del tabacco sulla mano ne “Il cane che caga davanti alla casa di Poldo”.

Sai già cosa aspettarti. Ed è perfettamente, esattamente così. Bellissimo che lo sia, senza sorprese, solo con conferme. Non c’è in “Addosso” un pezzo che svetti sugli altri, tutti sono necessari, perfino indispensabili. Tutti ugualmente costruiti attorno all’esile fil-rouge di una contrizione comune, di una morbida afflizione.

Brani concisi, di durata contenuta. Spesso veloci, cantati – il solito “canto” da emo, quindi uno screamo, seppure modulato, come nell’esordio della title-track – e suonati tuttavia con qualche sfumatura che li fa digradare verso una tavolozza di colori lievemente differente dal canone dominante per il genere.

Sfumature, appunto: aperture, forse. Ma in fondo: di aperture ne vogliamo, noi devoti dell’emocore?

L’emocore è uguale per tutti, nell’emo siamo tutti alla pari coi nostri angoli di imprescindibile, irrinunciabile, agognato grigiore e sospirata mestizia.

L’emocore è ‘a livella.

Io non credo che Il Sistema Di Mel siano, per le masse o chissà per chi, la next-big-thing o qualcosa di sensazionale, di memorabile, di irrinunciabile: dico che lo sono per me. Meravigliosi, in una parola.

Tanto basta, e scusate il disturbo. (Manuel Maverna)