CHICK COREA  "Return to forever"
   (1972 )

Bazzicando tra il jazz e i suoi immediati dintorni è praticamente impossibile non imbattersi in Armando Anthony Corea, detto “Chick”. Ma sarebbe meglio dire in uno dei tanti Chick Corea esistenti: dal jazzista ortodosso ma già un po’ latineggiante degli esordi a quello già aperto verso il rock del fondamentale “Bitches Brew” di Miles Davis, dal compositore colto e quasi classico delle “Piano Improvisations” al funambolo delle tastiere che ha rivestito di suoni cristallini il soul-funky un po’ freddino ma tecnicamente impeccabile della Elektric Band.

Ecco, la costante è proprio questa, la tecnica assolutamente sempre all’altezza, qualunque sia il genere in cui si è cimentato questo versatilissimo pianista. Magari un Keith Jarrett si fa preferire nelle improvvisazioni per pianoforte solo, magari un Joe Zawinul si impone come virtuoso delle tastiere elettroniche che illuminano e colorano le forti basi ritmiche della “fusion”, ma per trovare uno che in entrambi i campi (e in altri ancora) abbia raggiunto livelli di eccellenza, bisogna rivolgersi a Chick Corea.

Una delle sue fasi più originali e personali è certamente quella “latina” dei primi anni ’70, che ha in questo affascinante “Return To Forever” il suo prodotto più famoso, se non proprio il migliore. Il titolo è anche il nome della formazione che accompagna il pianista: il fido Joe Farrell a fare l’Eric Dolphy della situazione, diviso tra flauto e sax soprano, Stan Clarke al basso (e contrabbasso), Airto Moreira tra batteria e percussioni, e la cantante Flora Purim a spargere su tutto i suoi vocalizzi angelici. Come si vede, una formazione mista, in parte latinoamericana, e particolare, priva tra l’altro di un chitarrista.

Molto particolare è anche il piano elettrico usato da Chick Corea in questo frangente: francamente non sono in grado di dire quanto sia causa di modifiche tecniche e quanto sia merito di chi lo suona, fatto sta che quello che ne esce fuori è una collana di note così limpide e risonanti da sembrare a tratti uscite da un vibrafono. Se poi a queste dolci note si uniscono i voli felpati di un flauto libero di svariare, un placido basso che sta quasi sempre sulle sue, percussioni secche e metalliche, ma sempre contenute entro il limite del rumore, e un canto soave piuttosto che acuto, si può capire che in questo disco tutto è smussato, privo di angolosità.

Per certi versi siamo più vicini alla “ambient music” che al jazz, il che sembra in contraddizione con i ritmi latini, che certamente sono protagonisti, ma mai a livello di chiassoso Carnevale. Piuttosto c’è una sublimazione della spiritualità contenuta in questi ritmi, non molto dissimile da quella esaltata anche da Carlos Santana in “Caravanserai” (guarda caso è dello stesso anno), anche se ad un livello chiaramente molto più popolare.

Se si esclude “What Game Shall We Play Today”, che potrebbe passare tranquillamente per un classico brasiliano di Antonio Carlos Jobim, con Flora Purim nella parte di Astrud Gilberto, il resto del disco è costruito prevalentemente in forma di lunghe suites. Come la bellissima “Return To Forever”, con la sua introduzione ipnotica, in cui piano, flauto e voce hanno un ruolo fondamentale, che riescono a mantenere anche quando irrompono ritmi decisamente latini. O come “Sometimes Ago – La Fiesta”, con una lunga preparazione che vede il basso in evidenza per la prima e unica volta, seguita dal lento sorgere di un tema (“Sometimes Ago”) tratto da una delle classiche improvvisazioni per piano di un Chick Corea di soli due anni prima, eppure totalmente diverso.

“La Fiesta” conclude questo lunghissimo brano in un clima trionfale (come da titolo) ma mai tale da offuscare le splendide melodie esposte all’inizio. Fa specie a sé, ma come un prezioso esemplare di minerale raro, “Crystal Silence”. Qui si tocca l’apice della delicatezza e dell’eleganza, grazie al magico motivo esposto dal sax soprano in uno scintillio di piano elettrico e percussioni cha fa da sfondo vitreo. Sembra musica suonata sott’acqua, che arriva in superficie sotto forma di lievi increspature. Ma ciò vale anche per le molte languide pause che spezzano il ritmo dei brani più mossi, facendo di “Return To Forever” un disco da ascoltare da cima a fondo ad occhi chiusi, sognando. (Luca "Grasshopper" Lapini)