RICHARD'S ORCHESTRA  "Nothing nothing"
   (2020 )

Richard è un personaggio che sembra uscito da un film. Accanito bevitore e fumatore della località di Benicàssim, nella contea di Valencia, se ne sta fermo gran parte del tempo nel suo bar El rincor de Richard. Poi scompare dietro una nuvola di mistero per poi riapparire nuovamente, madido di sudore, con una gigantesca padella di paella in mano. La somministra a qualcuno ma è una pietanza impossibile da mangiare per intero. Ed è sulla base di aneddoti di tal tipo, riferiti a tal stravagante personaggio, che si fonda la storia musicale dei Richard’s Orchestra. Col loro carico di musica liquida, a metà strada tra la psichedelia, il desert rock ed il dream pop. Alle spalle un album, un EP ed alcune esperienze live memorabili. Ripartono ora da “Nothing Nothing”, album di dieci brani realizzato per la Seahorse Recordings/Audioglobe. Il titolo è una battuta ricorrente all’interno del gruppo ma anche un omaggio a “Nothing Shoking” dei Jane’s Addiction, con tanto di richiamo nell’artwork del disco. Un misto di suggestioni musicali, soft rock, crepuscolari e psichedelici presupposti. Sfumature e richiami sonori che si esaltano in un lungo tramonto, scintillante, in panorami estesi e desertici. Si direbbe, italo-californiani. “You can’t hear me” è il brano che inizia l’avventura in un desert of rock. Ha lo stesso calore del sole che batte dritto in testa, in un deserto di suggestioni, tutte provenienti da altri tempi, da altri contesti, da altri spazi. Grandi spazi. E’ un brano che sembra scritto per il viaggiatore solitario, alle prese con i suoi pensieri, sfrecciante a media velocità in una freeway intersecante scorci di Canyon. “Bare lake” ha la corazza sonora ed i passaggi centrali del brano - con tutte le sonorità che si è scelto di includere - tipici di un certo soft rock, pregno di intense armonie. Similare discorso vale per “Out of my shell”. Con un ritornello prolungato, alla fine, tipico di una soundtrack per i titoli di coda di qualche film, conclusosi con la lunga inquadratura di un’auto decappottabile, sfrecciante su qualche lost highway. “Amazing sunrise” è il primo crepuscolare e magmatico singolo dell’album. Ha il sapore del dream (soft) pop che si libra nell’aria, per far disperdere nella sua atmosfera l’ignaro ascoltatore, in un abbraccio di effusioni sonore, melodiche fino ad essere ipnotiche. Poi “Too early” e “Gimme sunshine”, che hanno il contrassegno ideale per entrare nel novero dei brani da atmosfere radiofoniche (da autoradio con audiocassetta). “The lover” e le sue piccole suggestioni blues di caratura tipica The Doors di L.A. Woman, e “She’s fine”, con le tonalità e ambientazioni rock seventies, di quelle che la fanno sembrare un brano sottratto dal repertorio del primo Bob Seger. “The spark” ha venature appena un po' più rockeggianti, appena progressive, ed è un progressive che sta bene dove si trova. Che non va oltre l’intenzione e fa bene. Per concludere con la tranquillità meditativa di “Whale’s poem”, il brano più notturno di tutti. Il brano che fa rientrare in casa tutti i distratti dalla luna piena, e lo fa, senza imposizioni, con un richiamo che attrae quasi quanto un canto delle sirene. Da un certo vuoto cosmico dunque divampano scintille creative, ed è fluida psichedelia pop rock che pulsa per 50 minuti. Sono anche suggestioni astrali da gustare in solitaria, per perdersi in una certa orbita che può essere personale o universale. A seconda di cosa qualcuno ha bisogno di trovare in quest’album. E c’è da dire che, nonostante le diverse preferenze, l’assortimento è abbastanza forbito. (Vito Pagliarulo)