JAC BERROCAL, DAVID FENECH & VINCENT EPPLAY  "Exterior lux"
   (2021 )

Tromba, elettronica sperimentale, poesia. Ecco gli elementi base di “Exterior Lux”, album uscito per la Klanggalerie Records, che vede l’incontro del trombettista e poeta Jac Berrocal con i field recordings, i lavori a computer, chitarra e sintesi dei compositori David Fenech e Vincent Epplay. Come descrivere in due parole quest’esperienza sonora nel suo complesso? Rubiamo un’espressione tipica di Shivaproduzioni, il canale YouTube che analizza i film estremi nella rubrica “Cinema degli eccessi”: c’è un “clima malsano”. Le costruzioni sintetiche sono spesso cariche di suoni deformati, reverse, trovate inquietanti, nelle quali Berrocal si inserisce utilizzando la tromba a suono pieno, e più volte con la sordina (quella che fa “uah uah”). Talvolta spicca come elemento protagonista, come in “Officer”, ma in realtà quel che fa nella maggior parte dei casi è inserirsi nella struttura psicotica creata dagli altri due, arricchendola ulteriormente nella sua visione surreale. Nella titletrack si percepisce la presenza di percussioni non convenzionali. Fra irriconoscibili rumori ferrosi e industriali, “Walkabout” è condita da decisi sospiri, e parole che Jac pronuncia pianissimo. Per sentirlo intonare delle note, bisognerà attendere “Vetiver”, anche se pare prediliga altri modi di utilizzare la voce, come nella poesia “Fuis le Feu”, sussurrata sottovoce quasi come una minaccia all’orecchio. Da metà brano invece, la voce si fa piena, e chiaramente ispirata al post punk. Tra le atmosfere sospese di “Wakhan corridor” e “Légére Dentelle”, e la ritmica sahariana di “Chiroptera”, con un taglio di rumore bianco che imita un treno in avvicinamento, e tra i suoni quasi 8bit di “No guitar today”, non c’è un momento in cui si riesca a distrarsi, a prendere sonno. Anche se il brano di chiusura si intitola “Je me suis endormi”, dove il francese pronuncia le proprie parole, sempre a bassa voce. Ma il sogno non dev’essere tranquillo, traslando da un “planète rouge” a un “planète noir”. Gli ultimi versi sono pronunciati nel silenzio, e con la voce compressa e distorta, lasciandoci turbati. Dove va questa musica? Come si ripete a loop nel primo brano, “Going nowhere”, non si va da nessuna parte. “Exterior Lux” esprime un’inquietudine, rilasciata senza indizi e senza appigli. Ed è il suo mistero a renderlo affascinante. (Gilberto Ongaro)