FLeUR  "Caring about something utterly useless"
   (2021 )

Se la copertina di un disco deve raccontare il suo contenuto, la spiaggia con il cielo scuro e minaccioso ritratta su quella di “Caring About Something Utterly Useless” adempie perfettamente al suo compito, scaraventandoci immediatamente all’interno dell’immaginario del duo torinese FLeUR.

Una materia sonora priva di parole, ma ricca di tensioni, un continuo gioco di spinte centrifughe e forze centripete, dalla periferia al centro, tra astrazione e rimbalzi verso uno scottante reale, saltando la dimensione dell’equilibrio, sfuggendo il quieto vivere, imboccando il vicolo stretto che porta sempre all’inferno delle ossessioni.

Le sette tracce contenute in “Caring About Something Utterly Useless”, seconda uscita discografica della band, sono frutto della produzione di Emilio Pozzolini dei genovesi Port-Royal, leggendario gruppo in ambito post-rock, ambient ed elettronica.

Abituati a comporre per rappresentazioni teatrali o performance artistiche, anche i FLeUR ripercorrono quei territori, richiamando i lavori editi dalle etichette più in voga nel settore durante il primo decennio degli anni 2000 come Warp, Kranky e Costellation. Il duo composto da Enrico Dutto e Francesco Lurgo sviluppa il proprio sound facendo dialogare i suoni analogici delle chitarre con quelli digitali di tastiere e programmazione elettronica, il risultato ci porta in atmosfere spesso desolate, cariche di tensione, che si sprigionano in quelli che la band definisce ruggiti sintetici.

Il primo brano “The Lowest Tide (for Matteo G.)” ricalca questo copione, partenza con chitarra nuda che cede lentamente il passo ai suoni digitali in crescendo dinamico fino alla saturazione dei muri di suono della coda. Molto interessante anche il video clip realizzato dal factotum Francesco Lurgo che evoca scenari di calma apparente post tragedia.

''Narcissus’ Scream (For Sarah K.)'', concepito per uno spettacolo teatrale dedicato alle opere della drammaturga Sarah Kane, si sviluppa partendo da suoni scomposti e rimbalzanti che si ricompongono in un ambient trasognante alla Boards of Canada, mentre la maestosa desolazione di “Unnatural Grace” prima ci fa entrare in un incubo lynchiano fatto di drones e bassi tremolanti, per poi accompagnarci in un territorio sospeso in totale assenza di gravità.

“For Pierre Brassau” richiama la vicenda dello scimpanzé spacciato per artista nel 1964 ed è fitta di mistero rotto da squarci laceranti di rumore.

“My Battery is Low and it’s Getting Dark”, una ninna nanna decadente tra aperture sinistre e baratri di malinconia, è ispirata dall’ultimo messaggio del Rover della Nasa su Marte prima di spegnersi. Da una prospettiva simile apre lo sguardo anche “The Philadelphia Experiment (For Gwydion)”, tra ritmi spezzati IDM e arpeggi circolari.

“The Highest Tide” è l’ultimo brano e anche l’unico provvisto di voci, ma sono fantasmi che bisbigliano incomprensibili nel dormiveglia.

“La musica è inutile, specialmente quando non ha voci umane a cui aggrapparsi, eppure ci teniamo tanto alla musica, perché ci aiuta a raccontare quello che non è raccontabile”, recita l’introduzione all’album scritta dai FLeUR.

Arrivare dove le parole non riuscirebbero, nello spazio dell’indicibile: i FLeUR compiono bene la missione che si sono dati, riescono a rendere vive tutte le sensazioni comprese nello spazio temporale tra le maree (dall’apertura con “The Lowest Tide” alla chiusura di “The Highest Tide”) che l’ignaro frequentatore della spiaggia in copertina non avverte fino a quando la tempesta non lo coglierà di sorpresa.

Ma noi ci salveremo, grazie ai FLeUR per averci avvisato. (Lorenzo Montefreddo)