L'UNIVERSO  "Atema ndanaxeo"
   (2021 )

“Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per un Universo oscuro, ché la diritta armonia era smarrita…”.

No no, non fraintendetemi, nessuna megalomania o indebiti paragoni: è solo la prima associazione verbale stimolatami dalle lodevoli iniziative culturali per i 700 anni dalla morte del Sommo Poeta, mentre scorreva nel lettore l’unico brano-suite (circa 59’) di questo disco dal nome sibillino che ne rispecchia fedelmente i contenuti musicali. E già che ci sono, a proposito del padre della lingua italiana, consentitemi di sputare il rospo nel denunciare quanto la sua nobile figlia, nostra madre, sia assediata da un’accozzaglia di vocaboli globish e dalle idiozie del politicamente corretto, con la colpevole complicità di quei padroni del discorso che considerano le tradizioni culturali un ingombrante residuato da immolare sull’altare di un Dio Mercato assetato di omologazione cosmopolita.

Ma riprendiamo la retta via musicale verso quella terra veneta prodiga di gruppi di punta nel panorama underground italiano distanti dalle sirene del marketing. Adriano Barbiero, bassista di una di queste band (Nema Niko), è il principale artefice de L’Universo, progetto che ha coinvolto numerosi musicisti lasciando intravedere svariati influssi: dalla psichedelia di prevalente matrice teutonica alle componenti più sperimentali del progressive, dal Mike Oldfield meno noto (e da me più apprezzato) ad incursioni nel free jazz. Il disco ci introduce in atmosfere a tinte scure, talvolta inquiet(ant)i, tese ad esaltare la profondità delle sensazioni a discapito della superficialità e del compromesso melodico. Il sound, ora denso, ora più rarefatto, intercalato da una ritmica di sapore tribale che strizza l’occhio alla timbrica industrial, si avvale di un vasto assortimento di strumenti (classici, acustici, elettronici) corredato da singolari polifonie vocali anche in versione narrante.

Atema Ndanaxeo ci offre un’ora di viaggio nell’ignoto in cui è possibile ri-trovarsi o dis-perdersi ma che difficilmente lascia indifferenti. Gli psiconauti, e più in generale gli esploratori musicali, troveranno pane per i loro denti gustandone i labirinti e le asperità, mentre per coloro che prediligono prodotti di evasione ad obsolescenza programmata e/o vengono facilmente turbati dalle dissonanze (nella musica, metafora della vita), non mi resta che scomodare nuovamente il Sommo Poeta, ammonendoli con l’ultimo dei nove versi che compongono l’iscrizione sulla porta dell’Inferno (III, vv. 1-9): “lasciate ogni speranza voi ch’entrate”. (MauroProg)