UNITA' DI PRODUZIONE  "Antropocene"
   (2021 )

Un dato di fatto è sotto la lente di tutti: ossia, si nota che nella sfera degli artisti s’intensifica un tessuto di riflessioni amare su come la società stia esiliando la sua realtà, minata ed avvelenata dall’incalzare tecnologico che deforma il presente in contesti alienanti. Ci si allontana dai contatti veri, dall’ambiente stesso per indirizzarsi nell’imminente declino totale.

Ricalca l’urgente tematica anche il trio bergamasco Unità Di Produzione nel secondo album “Antropocene”, definizione marchiata dal chimico olandese Crutzen per descrivere come la mano dell’uomo stia portando l’ecosistema all’eutanasia galoppante, con l’aggravante del carico da novanta calato dalla digitalizzazione sul tavolo delle nostre vite.

Dopo sette anni d’attività, il combo orobico sa giocar bene le sue carte dell’alt-rock, mescolate con sapiente destrezza compositiva: non d’impatto immediato ma, dopo 3-4 “play again”, gli scenari cambiano radicalmente e ci si accorge che nuovi dettagli magnetizzano le orecchie con trasporto onirico.

L’acidità sfonda sùbito i portoni nell’introduttiva “Ouverture al fallimento”: c’è bisogno di spiegare il titolo? Ma dai! Nella sfera declinante ci siamo ormai dentro, e vigliacco chi oggi si possa chiamar fuori dal contesto. Non sarete mica “Flebili” per questo, giusto? Una song colma di ruvido guitar-work in stile Interpol che stenti a credere per l’ottima governabilità dell’insieme.

Tra Verdena e Cure, si gode della stralunata “Tecnocrazia”, seppur con impatto granitico e inossidabile, mentre i ragazzi aumentano la “luccicanza” operativa con la costellazione futurista di “Andromeda”. Sarebbe delittuoso non evidenziare l’estraniante vocalità di Elvis Ghisleni che viaggia pertinentemente con l’ambient profferito dai soci e lodevolmente confermato nell’ostica “1000 anni”.

Aumentano graffi e unghiate nel dinamismo allarmante di “Prigione del secolo” e con un “Impatto!” declamatorio, cinto in mirabolanti schitarrate, mentre “Estetica del declino” nuota tra i fondali dei Bloc Party e grattate esecutive à la Editors.

Inusualmente piazzato in coda all’opera, il singolo “Pulviscolo” stende la drammaticità (in buona parte) su tappeto strumentale, breve inserto di spoken-word e rentreè narrativo.

E’ più che auspicabile che “Antropocene” conferirà al quartetto lombardo almeno la stima di coloro che braccano dischi ineffabili, ricercati e un tantinello inafferrabili, perché anche l’orecchio ha bisogno di nuove “rivelazioni”: che siano quelle espressive e/o talentuose poco importa. Tra le due opzioni fate pure la vostra scelta: tanto gli U.D.P. le possiedono entrambi. (Max Casali)