CARAVAN  "The Decca collection"
   (2001 )

Nel 2001 la Decca/Deram rende finalmente giustizia ad uno dei gruppi a mio avviso più rappresentativi e importanti del cosiddetto British-Rock, i Caravan.

Sono ben sette i CD (otto se si considera il doppio antologico “Where But For Caravan Would I?) ottimamente rimasterizzati e pieni zeppi di inediti e rarità. Le ristampe interessano precisamente il periodo che va dal 1968 al 1975 quando Pye Hastings e compagni incidevano per la gloriosa etichetta Deram. Tra queste spicca “In The Land Of Grey And Pink” indiscusso capolavoro manifesto del Canterbury Sound nel quale la semplicità espressiva e la naturalezza melodica si fondono egregiamente con un jazzismo tanto stravagante quanto appena sussurrato, dando vita ad una forma musicale innovativa, originale, irripetuta ed irripetibile.

Diretta ramificazione dei Wilde Flowers (dai quali derivano anche i Soft Machine) i Caravan sono praticamente attivi fin dal lontano 1966 quando, girando in lungo ed in largo per la Gran Bretagna, riuscirono a costruirsi una solida reputazione nei concerti live. In quel periodo il gruppo non navigava certo in buone acque e per esibirsi era costretto ad usare la strumentazione degli amici Soft Machine; comunque il periodo di gavetta non durò a lungo. La Decca/Deram infatti, sempre attenta alla qualità del prodotto artistico piuttosto che al semplice e riduttivo aspetto commerciale, nota i Caravan e non si fa certo sfuggire l’occasione di mettere sotto contratto strumentisti così fantasiosi ed eclettici, capaci di proporre un sound non solo originale ma diverso ed allora persino incatalogabile.

Nel 1968 esce il primo album intitolato semplicemente “Caravan” nel quale già si respira un’aria diversa dal solito “rockeggiare” targato GB ed USA tante sono le influenze in esso contenute. Divagazioni Canterburyane insolite fuoriescono dagli strumenti mettendo subito in evidenza quale sia e sarà la caratteristica del gruppo, il valore delle composizioni. Insieme ad una naturale linearità melodica convivono momenti di istrionismo strumentale senza per questo mai cadere nel prolissismo sperimental/cerebrale tipico dei Soft Machine o di altre band che avevano il “vizio” di prendersi troppo sul serio.

In sintesi ci troviamo al cospetto di quattro musicisti che grazie ad una magica alchimia sonora riescono a miscelare psichedelia, divertimento e creatività in un liquido appena sottilmente jazzato, shakerando ad arte le varie componenti tanto che le songs scorrono via emozionando senza risultare affatto cervellotiche né sterilmente affette da quell’ improbabile e freddo virtuosismo che troppo spesso era caratteristica di non poche band dell’epoca.

Uno scenario musicale che vede il suono delle tastiere di David Sinclair insinuarsi sensuale tra le trame sonore scambiandosi per strada gli umori del momento con la schizoide chitarra di Pye Hastings, in una sorta di cortese dialogo tra gentiluomini senza mai esagerare.

A fare da sfondo a quel delizioso e poetico sound fatto di mille note in movimento troviamo una sezione ritmica ondeggiante, incisiva e precisa, responsabile di quelle progressioni strumentali che sono poi divenute il marchio di fabbrica dei Caravan. L’estro e l’inventiva di Richard Sinclair, a mio avviso uno dei migliori bassisti in circolazione, ed il drumming agile e fantasioso di Richard Coughlan danno infatti il loro contributo essenziale alla effervescente musicalità del gruppo.

Il 1970 è l’anno di “If I Could Do It All Over Again, I’d Do It All Over You”, che non solo consolida la già matura personalità artistica dei Caravan ma ne sancisce il valore consacrando il gruppo ai vertici più alti del British-Rock. L’organico si amplia offrendo spazio al fiatista Jimmy Hastings che con il suo stile impreziosisce le composizioni del quartetto che qui acquistano una dimensione molto vicina al capolavoro.

La melodia si fa ancora più attraente ed incisiva ed il lavoro alle tastiere di David Sinclair, perfetto e finemente cesellato, trasmette non poche emozioni arrivando a commuovere per la delicatezza e la modestia esecutiva, ben lungi dalle eccessive manie di magniloquenza della maggior parte dei tastieristi del periodo. Il capolavoro, annunciato ed appena sfiorato l’anno precedente, arriva puntuale nel 1971 con l’album “In The Land Of Grey And Pink”, da molti considerato l’apice della loro produzione ed uno degli album fondamentali per la storia del Rock. In effetti si tratta di una delle intuizioni più felici dell’epoca (ma anche di sempre, potremmo ben dire a posteriori) una sorta di romanticismo Canterburyano finora sconosciuto il cui punto più alto è ben rappresentato da “Nine Feet Underground” una suite di ventidue minuti ricca di spunti e intuizioni assolutamente geniali.

La “Terra del Grigio e del Rosa” entrerà nella leggenda, in un certo qual modo offuscando persino l’identità e la notorietà di coloro che ne sono stati gli ideatori, i compositori, gli esecutori ovvero Pie Hastings, Richard e David Sinclair, Richard Coughlan, Jimmy Hastings e David Grinstead.

Certamente ai cugini Sinclair ed ai loro compagni ciò non ha fatto e non farà né caldo e né freddo, essendo essi artisti veri, genuini, riservati quindi lontani dai riflettori per scelta e per convinzione.

L’anno successivo esce “Waterloo Lily” con Steve Miller che rimpiazza David Sinclair alle tastiere. Il nuovo assetto che assume la formazione conduce i Caravan verso lidi sonori più spiccatamente jazz, decisione non certo inaspettata vista la propensione del gruppo a percorrere certi itinerari, seppure ai margini, in punta di piedi.

Un altro capolavoro la cui nuova dimensione sembra essere assai congeniale ai componenti del gruppo, i quali hanno qui l’opportunità di esprimere al meglio il loro talento e quel naturale virtuosismo fatto sì di grande perizia strumentale ma, abilmente e con encomiabile modestia, nascosto dietro un’umiltà fuori dal comune specie per l’epoca.

I tre album successivi incisi per la Decca/Deram (“For Girls Who Grow Plump In The Night”, “Caravan & The New Symphonia”, “Cunning Stunt”), usciti rispettivamente nel 1973, 1974 e 1975 risentono palesemente dell’abbandono di Richard Sinclair il cui posto viene preso da John G. Perry.

La materia sonora, pur mantenendo intatto il marchio Caravan e posizionandosi comunque in una dimensione artistica di tutto rispetto, si concretizza da qui in avanti nella proposizione di un Pop-Rock sinfonico simil Prog più convenzionale ed inflazionato se vogliamo, ma non per questo non degno di quella attenzione e rispetto che merita una band che continua a proporre album il cui livello artistico si posiziona ancor oggi su alti livelli, e scusate se è poco, specie in questi ultimi decenni in cui la musica pop è tutto fuorché Musica, salvo rare eccezioni.

La magia Canterburyana ed il capolavoro torneranno soltanto nel 1981 (con il ritorno di Richard Sinclair), concretizzandosi nell’album “Back To Front” inciso per un'altra etichetta, la Kingdom… ma questa è un'altra storia! (Moreno Lenzi)