PEJMAN TADAYON  "Non siamo sufi"
   (2022 )

Artista iraniano italianizzato, il compositore e pittore Pejman Tadayon ambisce ad un'unione tra Oriente ed Occidente, nelle sue creazioni. L'ironico titolo del suo lavoro “Non siamo sufi”, uscito per Squilibri Editore, è un libro di 48 pagine di dipinti e foto a colori, abbinato ad un disco. Dunque, la nostra esperienza qui è per forza di cose parziale, focalizzata solo sull'aspetto musicale.

Come spiega il sottotitolo, i brani che ascoltiamo sono “Composizioni per poesie mistiche persiane”. Infatti, le parole che ascoltiamo, in farsi (lingua ufficiale in Iran), sono poesie tratte da quattro grandi mistici persiani: Rumi, Omar Khayyam, Hafez e Saadì. Nel libro, i testi sono tradotti in italiano, per essere comprensibili a noi. La strumentazione suonata è quella tradizionale: oud, saz, ney (il ney è strepitoso, un flauto abbacinante), daf, khamanchech, santur, duduk... e viola da gamba. Per inciso, per chi (come me) si fa ingannare dalle orecchie: il duduk ha un suono simile a quello della viola, ma... è uno strumento a fiato.

“Musulmani” è concepita in uno stile chiaramente mediorientale, sui cromatismi della tipica scala araba. Ma già con “Zohreh” le coordinate si mescolano; ancora di più in “Mey nush”, basata su accordi che potrebbero provenire da una qualsiasi band di rock progressivo italiana. Salvo poi avviare quell'incedere all'unisono di voci e strumenti, squisitamente orientale – mi permetto di condividere un ricordo personale di un'altra longitudine: in Tunisia, accendendo la tv, sul primo canale ogni giorno verso le 12 c'era un'orchestra che suonava tutta all'unisono dall'inizio alla fine. Per farvi capire quanto questa abitudine a suonare tutti insieme le stesse note, sia ricorrente della musica in ambito islamico.

Invece, sulle percussioni in “Saghi”, le tre voci armonizzano un coro toccante. “Zahed” gioca tra la tonalità maggiore e minore, con esito incantevole, mentre “Sareban” ha una componente drammatica da colonna sonora, nella progressione armonica e nell'andamento tempestoso, da sturm und drang. Poi, si imbraccia l'oud in “Oudi”, e anche qui c'è un ostinato armonico e ritmico che, come “Mey nush”, testimonia questo effettivo scambio di vasi comunicanti tra Est ed Ovest. Un trucco da musicisti e per musicisti: è l'utilizzo delle scale dorica e misolidia, a rendere possibile il ponte tra i due mondi. Tra l'Antica Roma e la Persia c'è l'Impero Bizantino, a fornire lo sfondo storico che consente queste consonanze.

Il viaggio prosegue con l'ipnotica “Luna”, che per tre quarti prosegue all'apparenza statica, ma a sorpresa aumenta d'intensità nel finale, con l'arrivo dei cori, e vale la pena restare ad attendere. “Biman” riprende la tecnica dell'unisono tra voce e strumenti. Anche questo brano è strutturato in due parti, una calma e d'attesa, e la seconda più forte, con la partenza delle percussioni. Il viaggio si conclude con “Saba”. Il saz sfrigola, le percussioni gasano, ed eccolo il ney, che vi farà volare.

Dicevo che il titolo “Non siamo sufi” suona ironico, perché il sufismo fa proprio dimenticare le appartenenze d'origine, per trascendere. E qui, un ausilio a trascendere lo troviamo. (Gilberto Ongaro)