BEACH HOUSE  "Once twice melody"
   (2022 )

Almeno per chi scrive, l’approccio ad un disco dei Beach House non risulta facilissimo. E questo non perché mi senta alieno a quel dream pop di casa a Baltimora, ma perché dopo aver dato alle stampe quell’opera eterea titolata “Depression Cherry”, pare che ogni disco successivo sia destinato a scendere, piuttosto che scoprire nuove sonorità o emozioni.

Un po’ quello che sul versante post rock mi arriva dai Mogwai. Già, perché quelle (rare?) volte in cui decido di violentare i timpani con le loro schitarrate, la manina finisce inevitabilmente per pescare “Come on die young”, dimentico di tutta la produzione pregressa, o futura degli scozzesi.

Ma torniamo nella città di Michael Phelps e, cercando di vincere i sopraccitati preconcetti, si prova un approccio vergine a “Once twice melody”, con la consapevolezza che di questo imponente lavoro, comprensivo di ben 18 tracce, sarebbe impossibile un’analisi canzone per canzone.

In quest’ottica, lo sforzo dell’ascoltatore è quello di coglierne il mood e la direzione, in perfetta linea con la musica prodotta dal duo, ovvero la creazione di scenari sospesi tra la terra ed il cielo.

Gira un po’ la testa dopo tanto svolazzare. E, dopo una quasi indigestione, rimangono impressioni. Una presentazione del lavoro che dalla prima traccia non lesina synth e drum machine, insieme alla voce effettata di Victoria Legrand; echi che si fondono perfettamente al suono; la poesia misto miele di “Hurts to love”, con un organo a fare da padrone, o la sofferta (per non dire depressa) “ESP”.

Le insolite acustiche in apertura di “Sunset”; la brusca interruzione di “New romance”, quasi a svegliarsi dalla catarsi; il canto più simile ad un sussurro in “Another go around” e “Many nights”; la trance, puro stile “Depression cherry” di “Illusion of forever” o la partenza hawaiana di “The bells”.

Ancora l’alchimia quasi perfetta tra dream e pop di “Superstar” o l’inizio stile colonna sonora di “Pink funeral”; o “Over and over”, quel pezzo che, dal secondo ascolto, mira a catturarti più di altri, cercando di raggiungere la chimera del “per sempre”.

Se l’ascoltatore è arrivato vergine a questo disco dei Beach House, non è da escludere che lo possa eleggere a loro disco migliore; per tutti gli altri, rimane un disco dei Beach House. Che non fa una piega. (Gianmario Mattacheo)