VAN DER GRAAF GENERATOR  "Pawn hearts"
   (1971 )

Quel senso di impotenza che nasce dalla consapevolezza di essere null’altro che solitarie pedine nel crudele gioco della vita con le gioie, le inquietudini e le contraddizioni che il destino concede ad ognuno di noi, è tradotto in musica con grande maestria da quattro ispirati musicisti che nel 1971 registrano un album capolavoro, ''Pawn Hearts''.

La voce del leader Peter Hammill, cantante, compositore, poeta, profeta, polistrumentista e sicuramente artista geniale, incanta per la sua capacità di cavalcare le più alte tonalità fino ad arrivare in cima al cielo a carezzare una stella per poi, solo un attimo dopo, cadere giù in basso emettendo note così profonde che sembrano provenire dagli abissi della disperazione; uno stile vocale difficile, unico, evocativo, drammaticamente efficace.

Il cantato che contraddistingue le songs contenute nell’album è lirico e sofferto e ciò è ben rappresentato dalle linee melodiche ora struggenti e accorate, poi disperate e sofferte con le quali Hammill interpreta le sue poesie, le sue storie. Una esibizione vocale incredibile in cui il canto si esprime come fosse dilaniato da atroci drammi interiori pur riuscendo a districarsi con felina agilità nella lussureggiante foresta sonora creata da sax impazziti, dai suoni misteriosi delle tastiere e da ritmi pagani che non disdegnano di sconfinare nel jazz e nell’improvvisazione.

Viene così a crearsi un apparente e metafisico caos sonoro che si traduce in una musica unica e irripetibile, senza tempo e immensamente lirica, talmente ricca, complessa ed efficace da potersi definire totale. I tre brani dell’album rappresentano uno straordinario sunto di quanto di meglio la civiltà occidentale abbia espresso in campo artistico musicale negli ultimi sessanta anni.

Il sax di David Jackson, nel brano iniziale ''Lemmings'', è protagonista assoluto di un riff micidiale che sembra scandire con metronomica drammaticità la condanna a morte del genere umano che qui appare ormai sopraffatto da un progresso ingestibile nei suoi effetti collaterali; le tastiere di Hugh Banton danno il loro contributo nell’accrescere il pathos del brano il quale sembra scaturire da un oscuro e tormentato inconscio in cui però, ciò nonostante, la consapevolezza di una possibile positività riesce pian piano a illuminare il buio venutosi a creare intorno.

La successiva ''Man-Erg'', brano capolavoro sul dualismo che caratterizza molte persone e l’umanità in generale, si apre con toni maestosi ed epici, dolci e struggenti, mostrandosi da subito commovente nella sua immensa carica emotiva fino a che il sofferto e pacato lirismo iniziale non viene seviziato e stravolto dalle sonorità aspre e selvagge dei congegni a fiato di David Jackson e dai suoni distorti della chitarra di Robert Fripp dei King Crimson, qui presente nella veste di ospite eccellente, come a significare l’avvenuto sopravvento della parte negativa e violenta. Su tutto impazza agile, veloce e fantasioso un incredibile Guy Evans alle percussioni il cui stile resta unico ed ineguagliabile anche oggi a così tanti anni di distanza.

''A Plague Of Lighthouse Keepers'' è la quintessenza della musica moderna, quella con la “M” maiuscola; con i suoi oltre ventidue minuti di melodia, mistero, disperazione, solitudine, dolore, sogno, improvvisazioni e accorati slanci poetici si pone ai massimi livelli delle composizioni di sempre, classici compresi. L’enorme carica emotiva che si sprigiona da questa musica senza tempo ci pone in diretta comunicazione con i segreti più intimi dell’anima, ci permette di esplorare i misteri della psiche umana fino a scandagliarne le più recondite profondità. Questa forte sensazione di apparente stordimento consente a tutto ciò che di negativo si annida nell’animo umano di emergere in superficie fino a dissolversi, come in un salutare bagno purificatore.

Un album dunque, questo ''Pawn Hearts'', sicuramente di difficile fruizione, introspettivo e volutamente allucinante e allucinato, profondo e riflessivo sia nei contenuti quanto nella forma dove il leader, Peter Hammill, con le sue liriche e le sue musiche intende farci intraprendere un viaggio interiore inquietante e affascinante al tempo stesso. Un percorso che conduce musicisti e ascoltatore verso itinerari caratterizzati da multicromatismi sonori ed emozionali così accentuati ed estremi per mezzo dei quali, come in una sorta di gioiosa sofferenza, come in un percorso ad ostacoli difficile ma stimolante, con una ritrovata coscienza l’individuo viene a scoprirsi proiettato positivamente verso un futuro consapevole, di conseguenza da vivere come regista del proprio destino.

Di seguito, la traduzione in italiano (curata dallo stesso Peter Hammill) del testo del brano che apre l’album:

Lemmings
Stavo in piedi da solo sulla cima più alta della scogliera, guardavo in basso, attorno, e tutto ciò che riuscivo a vedere erano coloro con i quali avrei voluto condividere la vita che correvano avanti, completamente accecati, verso il mare.
Ho cercato di chiedere di che gioco si trattasse
ma sapevo che non avrei partecipato: e come una cosa sola, come nessuno, la voce mi raggiunse.
“Abbiamo guardato agli eroi
e li abbiamo trovati inferiori alle aspettative;
abbiamo scrutato attentamente attraverso la terra ma non riusciamo a vedere alcuna alba;
ora abbiamo osato marchiare a fuoco il cielo
ma stiamo ancora sanguinando;
ci stiamo avvicinando alle scogliere,
ora possiamo sentire il richiamo.
Le nubi sono ammassate e sembrano montagne,
non c’è via di scampo se non procedere avanti.
Non chiedeteci una risposta adesso,
è troppo tardi per piegarsi a tale convenzione.
Che rotta rimane se non quella verso la morte?
Abbiamo guardato ai Re Supremi,
e li abbiamo trovati inferiori ai mortali:
i loro nomi sono polvere davanti alla giusta
marcia della nostra nuova, giovane legge.
Con le menti che inciampano pericolosamente, ci scagliamo in avanti
attraverso l’oscuro portale;
nessuno può fermare il nostro balzo finale
verso lo sconosciuto abisso.
E mentre gli anziani ci danno dei pazzi
sanno che è davvero troppo tardi ora per fermarci.
Perché se il cielo è disseminato di morte
a cosa serve trattenere il respiro?... Espellilo!
Quale causa rimane se non morire
ricercando qualcosa di cui non siamo in realtà troppo sicuri?”
Quale causa rimane se non morire?
Quale causa rimane se non morire?
Quale causa rimane se non morire?
…Davvero non so perché…
So che la nostra fine può essere prossima,
ma perché l’avvicinate ancora?
Il tempo potrebbe infine dimostrare
che soltanto chi vive lo sposta e che
nessuna vita giace nelle sabbie mobili.
Si, lo so che è fuori controllo, fuori controllo:
un macchinario unto scivola sulle rotaie,
e i giovani corpi e le menti sono impalati su raggi d’acciaio, i denti strappano le ossa, i denti strappano le ossa; mostri dalla gola d’acciaio forzano a urlare, la mente e il meccanismo comprimono i nostri sogni … ma c’è ancora tempo…
I codardi sono quelli che corrono,
la lotta è all’inizio… nessuna guerra con i coltelli, lottiamo con le nostre vite, i lemmings non possono insegnare nulla;
la morte non offre nessuna speranza, dobbiamo tastare in cerca della risposta sconosciuta,
unire il nostro sangue, ridurre l’inondazione,
evitare il disastro…
Ci sono altre vie oltre che stare nella massa urlante: quello ci rende soltanto ingranaggi dell’odio. Fate attenzione piuttosto al perché e a dove siamo, guardate voi stessi e le stelle, sì, ed alla fine quale scelta rimane se non vivere
nella speranza di salvare i piccoli dei figli dei nostri figli?
Quale scelta rimane se non vivere,
quale scelta rimane se non vivere,
quale scelta rimane se non vivere
per salvare i nostri piccoli?
Quale scelta rimane se non provare?
Quale scelta rimane se non provare?
Quale scelta rimane se non provare?


Naturalmente nello stile letterario di Hammill, cosa comune a quasi tutti i grandi poeti, ricorre frequente l’uso della metafora per mezzo della quale l’artista qui intende descrivere il declino dell’essere umano che deluso dal passato, parimenti affascinato da un avanzamento tecnologico inarrestabile, resta tuttavia fruitore passivo e inconsapevole degli effetti negativi che il processo stesso comporta, incapace di comprenderne appieno i benefici.

Così, nella folle rincorsa allo spasmodico uso/abuso delle più avanzate tecnologie, immersa in uno smarrimento più o meno (in)cosciente, l’umanità rischia di perdere di vista la vera essenza della vita, ovvero quei valori senza i quali a prendere il sopravvento sono il disorientamento, la disperazione e l’accettazione acritica e rassegnata di un destino prestabilito: “…che rotta rimane se non quella verso la morte?” proclama dall’alto della scogliera quella moltitudine spaventata che, equiparata ai lemmings, è in procinto di suicidarsi.

Ma, recita Hammill dando voce allo spettatore del dramma che si sta consumando “…i lemmings non possono insegnare nulla…” ed ecco che l’orizzonte (il finale del brano) si apre su un nuovo scenario di speranza e riscossa… ”Quale scelta rimane se non vivere… quale scelta rimane se non provare?”; in fondo la vita è una scommessa, vivere, scegliere di vivere è la naturale conseguenza del sentirsi parte integrante dell’universo in ogni determinato e preciso istante.

Direi che a questo punto una nota sui lemmings, ai quali è stato dato l’onore di titolare questa grande song, è quantomeno dovuto. Essi sono piccoli roditori simili ai criceti che vivono prevalentemente nei paesi del nord Europa la cui capacità riproduttiva è assai elevata. Per tale motivo intorno a loro sono nate leggende che vogliono il piccolo animaletto intento ad una attività di autoregolamentazione della popolazione facendo ricorso appunto a spontanei suicidi di massa. Una teoria che si trova di frequente in certa letteratura, documentari e film ma che in realtà pare non possieda fondati riscontri. Sembra infatti che il destino del lemming non sia precisamente così crudele, ma qui Hammill usa proprio questo aspetto teorico/fantasioso inerente il roditore come allegoria per descrivere il “suicidio di massa” inteso come smarrimento della ragione, della saggezza, della passione e del sentimento cui sta andando incontro il genere umano.

Una umanità che, con i possibili effetti negativi che un progresso incontrollato ed erroneamente manipolato (e manipolatore) può comportare, rischia di smarrire la via maestra dell’esistenza precludendosi il percorso verso la consapevolezza, verso il manifestarsi di quell’accrescimento emotivo e culturale il quale deve giocoforza andare di pari passo con l’evoluzione tecnologica, pena l’imbarbarimento dei sentimenti.

Tuttavia sono proprio la consapevolezza e la presa di coscienza, uniti al naturale spirito di autoconservazione e alla visione di un probabile e possibile futuro alternativo, che infine concedono una seppur flebile apertura verso la speranza; ciò è ben rappresentato dai versi finali del brano: “…quale scelta rimane se non vivere per salvare i nostri piccoli? Quale scelta rimane se non provare?

Cose scritte tanti anni fa ma ancora di una attualità sconcertante, a tratti persino profetica vista la situazione odierna, a dimostrazione che il titolo di grande e geniale artista, musicista, compositore, poeta, profeta che la critica, anche quella della cosiddetta musica “colta”, conferisce da sempre a Peter Hammill è sicuramente esplicativa e coerente con la indiscutibile validità della sua vasta e articolata produzione. (Moreno Lenzi)