SOTE  "Majestic noise made in beautiful rotten Iran"
   (2022 )

Sì, a volte è bello, quando un artista trae ispirazione dalle proprie radici geografiche, ne studia il folklore e gli accenti tipici, per poi trasportarli all'interno della propria proposta musicale. Ma a volte è più bello fregarsene proprio, e creare un linguaggio che non abbia bisogno di giustificazioni geolocalizzate. Ed è questo il caso dell'elettronica di Sote, almeno a questo punto. In passato si sentivano il santour e il tar, strumenti persiani che identificano le origini di Sote, al secolo Ata Ebtekar. Questa volta, egli preferisce praticare una sorta di auto-terapia, attraverso queste musiche così ben giocate sulle timbriche di tutti i suoni.

Uscito per Sub Rosa, il nuovo disco dell'artista vuole comunque parlare al proprio Paese, e titola: “Majestic noise made in beautiful rotten Iran”. Fin dal primo brano, “Forced absence”, si percepisce che i suoni sono levigati, presi e sviscerati, sgretolati in maniera a volte granulosa (sintesi granulare), a volte con esito molle e gommoso. Poi, ad un certo punto, a sorpresa i battiti si fanno violenti, mitragliate aggressive, ma possiamo apprezzare ogni singolo elemento, anche l'arpeggio più sottile, perché è tutto perfettamente spazializzato, a livello di produzione.

In “I'm trying but I can't reach your father”, arpeggi vorticosi turbinano come pensieri nervosi che prendono vita, sotto forma di scintille da saldatore. Passiamo a “Life”: la melodia di riferimento qui è quella del suono grave, come dire, il "basso", pur parlando di suoni sintetici. E ascoltiamo tutto il tempo un tetracordo, una sequenza di quattro accordi discendenti in tonalità minore, con un crescendo d'intensità che solo verso il finale si fa rumoroso, mentre “Arcane Existence” lancia delle bombe sonore, dopo un inizio così delicato, che pare suonato sui bicchieri.

“Dogs” ha un lontanissimo sentore di Radiohead, ma è presto contraddetto dalla sensazione cangiante di tutti i suoni. Bassi massaggianti, e una costruzione armonica drammatica. E anche qui, a tre quarti dal brano, entrano in gioco i colpi di noise, di “majestic noise”, rumore maestoso. “Neo fatal technology” propone uno scenario sonoro futuristico, di quelli con le stanze open space con vetrate giganti, e le persone tutte vestite di bianco optical. Ma poi lo sviluppo si fa tosto, con un'ansia che pervade la traccia e raggiunge il suo culmine. “Strings of agony” è un loop ipnotico, laddove il giro si ripete uguale, anche se ogni volta si cambiano i timbri.

E dopo queste suggestive “aggressioni musicali”, possiamo concederci un finale distensivo: “Hearts & Minds”. Distensivo ma non troppo, dato che gli allarmi non tardano a tornare. L'uso del rumore come fonte espressiva qui aiuta il suono ad essere più “croccante” ad un certo punto.

Nel complesso, è curioso quanto un artista della scena alternativa di Teheran definisca “marcio” l'Iran. Chissà cosa gli ha fatto scaturire questo tipo di concezione. La musica comunque, quali che siano le intime intenzioni di Sote, dà lustro a un genere solitamente troppo concentrato a ottenere muri di rumore quanto più fastidiosi e totalizzanti. Qui invece, il noise c'è e anche forte, ma è parte di una composizione più complessa, che lo valorizza. (Gilberto Ongaro)