MY BLOODY VALENTINE  "Isn’t anything"
   (1988 )

Prima che uscisse quel capolavoro eterno che è “Loveless”, i My Bloody Valentine pubblicano un disco abbastanza insolito, “Isn’t Anything”. L’impressione è che il gruppo abbia voluto unificare tutte le sue influenze in un unico lavoro che le manifestasse però separatamente. “Isn’t Anything” non ha ancora l’unicità del suo successore, perché mantiene gli elementi separati, per quanto sia possibile, l’uno dall’altro. È quindi un lavoro piuttosto variegato e dall’ampio respiro. Di certo la band non suona canzoni immediate, per di più assimilare così tante e radicate pulsioni musicali non è facile. Questo disco va ascoltato con pazienza, attenzione e senza aspettarsi nulla al primo ascolto. Potrà affascinarvi subito, ma potrà anche lasciarvi indifferenti o infastidirvi. Nonostante ciò, la sua grandezza è innegabile. Nella tavolozza dei colori troviamo subito il verde acido della psichedelia. “Soft as Snow (But Warm Inside)” gioca infatti su ritmiche stranianti, sul canto snaturato che va a formare qualcosa di macchinoso e ansimante. “All I Need” dilata ancora di più i suoni, e come colate laviche penetra nel nostro cervello e lo sgombra da tutto, lasciando solo la bellezza magica del canto. L’ipnosi è tale da farsi dolorosa, insostenibile, troppo viscerale. “Several Girls Galore” richiama la psichedelia della prima traccia, con un uso geniale della ritmica, opposta al canto. Ma si passa subito a tonalità più tenui, quasi sfocate, con “Lose My Breath”, ballata immersa in una nebbia impenetrabile. Un canto fatato accompagna le nostre percezioni, pare quasi di sentirsi avvolti in un manto nevoso. Algida e struggente. La sensazione di gelo ritorna poi con “No More Sorry”, ma questa volta sembra di stare sotto una cascata ed assistere impassibili al volo leggiadro degli uccelli. Tutta la musica dei My Bloody Valentine è un perenne scontro tra rumore e bellezza, tra violenza animale e sensibilità divina. “Cupid Come” ci fa capire come lo Shoegaze potesse benissimo diventare un genere di successo e di massa, senza perdere valore. Ci troviamo infatti di fronte ad un pezzo di punk melodico della migliore qualità, supportato poi dal tipico suono arrugginito delle chitarre. Il contrasto è suggestivo. Ancora meglio fa “(When You Wake) You're Still in a Dream”, accelerando i tempi, aumentando l’adrenalina con un riff perfetto di chitarra. Qui si dipinge col rosso vivo del punk, le pennellate sono brusche ma aggraziate, in una sorta di ennesima diramazione dell’idea di punk, che qui sfocia in un turbinio di dolcezza e rabbia viscerale. “You Never Should” è una furiosa e splendida cavalcata per lande gelide. Sempre all’insegna di una velocità quasi hardcore. “Feed Me With Your Kiss” ricalca il solco dei brani sopra citati, con un maggiore contrasto di musiche e canto, qui sbilanciato e psicotico. Iniziamo a vedere i colori mescolarsi. “Sueisfine” ci fa perdere le coordinate, unendo velocità, ipnosi, violenza ed una dolce melodia. I colori prediletti dal gruppo sono ormai ben delineati, tuttavia, manca ancora il tocco di grazia. Il risultato resta però eccellente. Il capolavoro assoluto del disco è forse “Nothing Much to Lose”, un ritmo insistente ed in continua ascesa, la melodia splendida e quegli improvvisi scatti isterici che esplodono senza preavviso, per poi svanire immediatamente. Voci angeliche e fumi noise accompagnano il brano, che unisce una ricercatezza formale ad una semplicità di esecuzione. Dove avevamo iniziato, si finisce. “I Can See it (but I Can't Feel It)” è una ballata ubriaca, appesantita volontariamente dal muro di chitarre distorte. In conclusione “Isn’t Anything” porta con se tutti i semi che daranno poi frutto nel 1991, ma mantiene un suo profilo caratteristico. Rumori assordanti, dolcezza melodica, punk e psichedelica sono le basi fondamentali di questo inarrivabile crogiuolo di suoni, un compenetrarsi ansimante di distorsioni laceranti e lucentezza vocale. Una visione psichedelica e virulenta del nostro mondo. (Fabio Busi)