LUVI DE ANDRE'  "Io non sono innocente"
   (2006 )

Luvi De Andrè, se volete, è figlia d’arte. Meglio, è legata alla musica da sempre. Un legame naturale, mostrato sul palco insieme al padre nelle sue ultime tournée, ma che lei non aveva mai pensato di portare avanti in prima persona, più che altro per un carattere introspettivo, poco incline ad apparire a tutti i costi. “Per anni ho preferito fermarmi e aspettare, valutando anche alternative, nel mio caso, meno scontate”. Eppure, le cose cambiano. 'Io non sono innocente' arriva da un impegno di tre anni. “Forse era solo questione di tempo, ora sento di aver trovato il momento e le persone giuste". Queste persone sono Pietro Cantarelli, Claudio Fossati (produttori, arrangiatori e musicisti degli ultimi dischi e concerti di Ivano Fossati) e Fabrizio Barale (Yo Yo Mundi). Assieme hanno portato a compimento canzoni che Luvi non si limita a interpretare, ma di cui si è completamente appropriata. “È strano, i testi dei pezzi che canto non sono miei, ma mi descrivono a fondo. Sono una specie di specchio che riflette la strada che sto compiendo. E come se con Pietro, Claudio e Fabrizio ci fossimo trovati, tutti nello stesso momento, a provare le medesime cose”. “Il titolo dell’album mi rappresenta perfettamente: parte anche dall’ira verso di me, prima di tutto. 'Io non sono innocente' è una dichiarazione ipocrita. Sottolinea la difficoltà nel cambiare una vita che non ci piace”. Ecco quindi l’urlo liberatorio, la consapevolezza del verso “sono un uomo che si nasconde”, che si sottrae a se stesso. Un urlo quasi primitivo, che apre l’ascolto con 'Oggi domani' e arriva al brano che dà il titolo al disco: qualcosa di più, quindi, di un autoritratto. Un viaggio nell’intimità, piuttosto, di una generazione che sta, finalmente, scuotendosi. Il segno di un lavoro, che descrive desideri, innocenze perdute ('Il disegno'), prese di coscienza assolute ('Fiore femmina') e valica il panorama strettamente italiano, incontrandosi con il pop rock contemporaneo, grazie a strutture in cui le chitarre hanno sonorità a tratti aggressive, mentre l’elettronica offre un telaio inedito ed aperto a piccole sperimentazioni timbriche. E c’è la voce di Luvi: una voce capace di sfumare e avvolgere, nei momenti più raccolti ('Al di là delle nuvole', 'Lentamente', 'Giocando in equilibrio') e di inasprirsi quando è necessario, richiamando le energie delle parole ('Vivere così'), oppure di affermare con forza quell’urlo primitivo a cui si accennava. Gli echi d’Oltremanica si sentono e dialogano con le nostre radici, nel momento più letterario del cd, 'Ismahel', dedicato al girovago descritto da Melville in Moby Dick. Un momento che avvicina i Radiohead e un’idea contemporanea di soul, al servizio di un’artista che sa calibrare le proprie forze e oltrepassa la maniera melodica pura. Si affida piuttosto a una specie di onda emotiva, che va su e giù: contempla un paesaggio interiore poco rasserenato in 'Piovono fulmini' ed esprime il diritto alla passione, allo scarto in 'Fuga d’amore' con una sensibilità lirica più che convincente. Altrove, ne 'La verità delle parole', il dialogo è fra concretezza e illusione, fra sogno e realtà. C’è grinta e poesia, in 'Io non sono innocente'. Un cesello musicale dove strumenti concreti ed elettronica dialogano felicemente. La voglia di uscire da un coro che è sempre più omologo e grigio; una attitudine che è stata coltivata negli anni e che ora dà un frutto, se volete, compiuto, ma soprattutto destinato a rifinirsi, ancora. Non è il traguardo di un viaggio. È solo l’inizio.