MARIALY PACHECO  "Reload"
   (2022 )

La pianista cubana Marialy Pacheco, residente in Germania, suona qui in formazione trio, con il batterista Karl Perazzo, e il percussionista Sebastian Nickoll. “Reload” è un jazz energico e festoso, dove il virtuosismo di Pacheco ai tasti neri e bianchi non diventa mai puro esercizio tecnico. La fantasia melodica cattura l'attenzione e non la molla mai.

I ritmi cubani spesso tornano evidenti, come nella titletrack “Reload”. Alcuni temi iniziali hanno un gusto popolaresco, come quelli di “Zapateo” e “Oye El Carbonero”, dove compare Avishai Cohen, contrabbassista israeliano. ”El tiempo que te quede libre” ha una progressione armonica che porta alla mente grandi classici come “Tico tico”, pur se arrivandoci da (e poi tornando a) un pedale inquietante.

Altro ospite da notare è il trombettista Nils Wülker, in “Cartagena bliss”, che segue anch'egli la volontà di Marialy, nell'improvvisare restando sempre nell'intenzione narrativa, cioè senza perdersi in carambole fini a sé stesse. Tanto non servono, perché a tre quarti del brano, l'obbligato è comunque da panico. Alla fine, si sentono sullo sfondo i complimenti spontanei della pianista: “Danke, bravo. Super! Gracias”.

Dopo le ripide cascate di note di “Danzonete”, il tono si fa più dolce con gli arpeggi di “Flores de invierno”, dove il pianoforte è accompagnato dal percussionista marocchino Rhani Krija, proveniente da Köln. La melodia al piano, ad un certo punto viene doppiata dalla voce (e lo fa anche altrove), segno che la melodia, anche quando improvvisata sullo strumento, viene immediatamente pensata e tradotta in canto. Si possono sentire i suoi pensieri musicali emergere in diretta.

Ancora Krija è presente in “Paseo in 6/8”, dove il batterista si diverte qua e là a marcare gli accenti in levare, generando poliritmie. Il finale a sorpresa, ci porta per qualche secondo ad una festa popolare, non riconoscibile nel contesto. Le onde del mare ci aprono il finale “Noches de Barù”, un pezzo delicato e sussurrato, come il buio che descrive. È l'unico pezzo “calmo”, dopo un album tutto luminoso e frizzante, di una pianista che può appassionare anche i meno abituati al jazz. (Gilberto Ongaro)