AB ORIGINE  "Machina ex devs"
   (2022 )

Sono stato rimproverato più volte alla facoltà di Musicologia a Cremona, per aver utilizzato l'espressione “world music”. A quanto pare, oggi questa definizione si riveste di un significato colonialista, del bianco che si appropria delle culture altrui, e vorrebbero che non la utilizzassi più, descrivendo la musica etnica e l'utilizzo di strumenti extraeuropei. Ecco perché sono in difficoltà ora, che sarebbe il momento di usare la W world. E vabbè, sarò scemo io, oppure Peter Gabriel doveva limitarsi a giocare coi sintetizzatori “occidentali”, quella volta. Ma se Gianni Placido, italiano, pugliese che sta a Bologna, si appassiona al didjeridoo australiano, e compie quella tipica operazione di unire strumenti di popoli fra loro lontani, la jew's harp (che da noi è lo scacciapensieri), lo shakuhachi (flauto dritto giapponese), percussioni africane, theremin e tanto altro... come dovrei definire questa attività creativa?

Tra l'altro, ho appena raccontato dell'album del supergruppo Congotronics International (http://www.musicmap.it/recdischi/ordinaperr.asp?id=9683), progetto che unisce quattro continenti, e l'idea nasce dalla Repubblica Democratica del Congo. Il produttore è belga... Belgio – Congo, dovremmo ancora pensar male? I progetti etnomusicologici oggi non partono più solo dai bianchi verso il resto del mondo, ma direttamente da contesti indiani, sudamericani, africani, e guardano all'Europa e agli Stati Uniti con lo stesso fascino. E poi, anche noi italiani siamo un'etnia (molto) caratteristica, con tante varianti regionali. Che pippe mentali si fanno all'università?

Scusate la polemica personale; volevo esprimerla da molto tempo, e questo contesto musicale la richiamava. Adesso entro nel merito.

Gianni Placido, in arte Ab Origine, è arrivato al suo settimo album, intitolato invertendo la nota espressione deus ex machina, e usando la v epigrafica: “Machina ex Devs”. Nel suo progetto di musica etnica contemporanea, il didjeridoo è protagonista nella maggior parte dei brani, quasi sempre strumentali tranne qualcuno. Ad esempio, “Transmigration”, dove si intona una nota cantando in latino. L'incontro del celebre strumento degli aborigeni (da notare l'ingegnoso gioco di parole “Ab-Origine”) con lo shakuhachi e le scelte compositive in genere, vanno verso una direzione contemplativa. L'intenzione non è quella turistica, delle compilation di “musiche dal mondo” (capito, professori?), bensì quella di tornare all'origine della nostra civiltà, ai suoi fondamenti primitivi, per ritrovare la nostra identità di esseri umani, in questi anni dove ci ritroviamo più nei profili social, nei codici a barre, nei badge di lavoro, nelle matricole dei documenti, più che nel nostro corpo e nella nostra storia culturale.

Ecco perché rivendico la definizione world music, essendo questa ricerca assolutamente non commerciale. Dai momenti più intimi come quelli con chitarra acustica (“Through the Bardo” e la titletrack, dove siamo perseguitati da un glockenspiel gobliniano), passiamo a quelli centrali, dove il didjeridoo sviscera il suo potenziale “techno”, in brani come “Digital Ancestors” (che titolo suggestivo), “The way of the Mastodont” e “Analog streaming”. Più volte siamo accompagnati anche da un cupo coro, che scava nella nostra psiche, come un rituale coinvolgente.

Ecco, per riconciliarmi con l'università, se c'è una parola che abolirei io, non è “world music”, bensì “esotico”. Questa musica è viscerale, ancestrale perché, come ricorda il titolo “Modern primitives”, siamo neoprimitivi, e far risuonare queste sonorità ci ricollega all'esperienza umana universale, a qualcosa che abbiamo tutti, a ogni latitudine, longitudine, la torpedine, Trieste e Udine! (Cit.)

Abbattere i confini non è snaturare qualcosa, perché i confini non sono un prodotto della natura, bensì della cultura. Ci siamo adattati ad ambienti diversi, e per tali ambienti abbiamo elaborato risposte culturali diverse, che oggi la tecnologia mette in comunicazione alla pari. Quindi, ben vengano i progetti come Ab Origine! (Gilberto Ongaro)