recensioni dischi
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ROBERTO VECCHIONI  "Elisir"
   (1976 )

Strano destino, quello di Roberto Vecchioni, quasi mai considerato tra i cantautori "storici" degli anni '70, mentre invece dell'"eletta schiera" fa parte a pieno titolo. Strano caso, quello di Vecchioni, che nella sua discografia nasconde gemme di valore assoluto come questo album del '76, ma deve il massimo successo al fatto che la sua "Samarcanda" venne recepita come canzone quasi per bambini (con quel "Oh oh cavallo oh oh") mentre il suo significato era ben più profondo e… "adulto". Su questo "Elisir", dunque, vale la pena di soffermarsi, quale grande esempio di canzone d'autore italiana in un momento in cui la canzone d'autore italiana iniziava a mostrare un po' di stanchezza, presagendo forse la mazzata quasi letale somministratagli dall'avvento del punk nel giro di un paio d'anni. "Elisir" arriva dopo tre album "artigianali" e poco distribuiti (ancorché tutt'altro che disprezzabili) come "Parabola", "Saldi di fine stagione" e "Il re non si diverte", e soprattutto dopo l'eccellente "Ipertensione". E' un album sul viaggio, il viaggio dell'uomo inteso nella sua accezione più ampia. Viaggio alla scoperta del mondo e viaggio alla scoperta di se stessi, viaggio da fare da soli o viaggio da fare insieme, viaggio per mare o viaggio per anima… un percorso sempre e comunque a ostacoli, raffigurato fin dalla copertina, che riproduce il gioco dell'oca con tutti i suoi trabocchetti. "Un uomo navigato" che apre il disco è un po' il paradigma di tutto questo: ricordando musicalmente il Dylan di "Desire", prepara a tutti gli itinerari possibili che seguiranno, tra onde o tra contraddizioni. "Velasquez", che musicalmente sembra rubata a Neil Young, racconta della voglia di andare che lotta con la voglia di tornare, "Effetto notte" dice di un viaggio, seduto al tavolo di un bar, di un amore solo e senza speranza, "A.R." di un altro amore, altrettanto solo, altrettanto disperato. "Canzone per Francesco" è il viaggio di vita fatto assieme a un amico (Guccini, nella fattispecie), "Figlia" il viaggio che, da padre, Vecchioni profetizza/promette/minaccia alla figlia che quel viaggio deve ancora cominciarlo. Proprio "Figlia" rappresenta il punto più alto del disco e uno dei vertici assoluti della carriera artistica del "professore". Qui, a una melodia di pacata semplicità e a un testo di sottile, grandissima poesia (ma anche di solido impegno politico, nel senso più nobile del termine) fa da contraltare una veste musicale faticosa e scarna (una chitarra, un basso e, dopo, il violino di Lucio Fabbri) che concede poco all'ascoltatore. Ma quella che sembra a prima vista un'incongruenza, risulta invece una scelta assolutamente azzecata. A posteriori, l'unica scelta possibile. Un arrangiamento sontuoso che avesse assecondato melodia e testo avrebbe banalizzato la canzone, e ne avrebbe forse nascosto il testo negandogli quell'attenzione che invece deve avere. E poi la vita non è facile, lo dice Vecchioni nella canzone ("E figlia figlia / non voglio che tu sia felice / ma sempre contro finché ti lasciano la voce / vorranno la foto col sorriso deficiente / diranno "non t'agitare che non serve a niente" / invece tu grida forte la vita contro la morte") e il brano, anche musicalmente, lo sottolinea. Un sacco di cose, quindi, dentro questo brano, racchiuso dentro un disco pieno di cose. Solo un anno dopo sarebbe arrivato il grande successo di "Samarcanda", travisato da gran parte del pubblico ma non da Vecchioni che avrebbe continuato sulla propria strada incurante degli applausi di quel pubblico raccolto per caso e riperso subito dopo. (www.luciomazzi.com)