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INHALER  "Open wide"
   (2025 )

Partiamo dal presupposto che essere figlio d’arte ha i suoi pro ed i suoi contro.

Con questa idea ci accingiamo a parlare di “Open wide”, terzo album degli Inhaler. Il collegamento tra la premessa e l’album è Eli Hewson, figlio di Paul Hewson, che per chi non lo ricordasse è il vero nome di Bono Vox degli U2, in persona.

Inevitabile andare a cercare somiglianze tra padre e figlio, per vedere che lavoro abbia fatto il DNA, ed effettivamente in alcuni passaggi melodici, la voce del ragazzo ci riporta a quella del celebre genitore. Ma fermiamoci qua, è solo una questione di timbrica.

Non vengono raggiunti i picchi più rock di un brano come ''Another Time, Another Place'' o ''The Electric co.'' degli U2. Si rimane comodamente in ambito più indie pop. Un indie che ha la fortuna di affondare le radici nelle venature originarie, tralasciando la ricerca che queste avevano dovuto fare, tra terre acide o fertili, e quindi le delusioni, le bruciature che esse narravano, l’assenza di quella ribellione interna che aveva generato lo sbocciare del primo fiore tra il punk, il rock, la new wave.

Un indie quindi solare, questo degli Inhaler, trasportato dal morbido tappeto vellutato di un basso Gibson suonato magistralmente, direi, da Robert Keating. Ovviamente, allargando lo sguardo all’intera band, non ci sono i riferimenti audio di un The Edge negli Inhaler, a scongiurare il pericolo di un nuovo caso “Greta Van Fleet” se mi concedete l’arduo paragone, ma un parallelismo tra questo album degli Inhaler e quelli dell’ultima produzione U2, quelli sì, il paragone si può fare.

In che termini? Nel fatto che la produzione di questa band parte subito ad alti livelli. C’è una canzone che brilla su tutte? Non direi; sembra di ascoltare un prosieguo alleggerito di ''No line on the Horizon'' di Mullen e company, specie nell’incedere della batteria. Ci sono alcuni brani, in cui si ha l’impressione che vengano citati addirittura gli Housemartins come anche l’atmosfera sognante in ''All I got is You''.

Hewson è anche in grado di accompagnare gli intrecci della voce con una buona tecnica chitarristica, cosa che, dal vivo, è molto d’aiuto, perché il suono della band è più “canonico” se paragonato a quello dell’illustre genitore, ed Eli usa cambiare spesso lo strumento, per assecondare meglio la scelta degli arrangiamenti dei brani.

Tutto il disco, seppur prodotto da Kid Harpoon, produttore e autore giovane quanto pluripremiato, sembra mantenere connotazioni ben ancorate e precise, senza sobbalzi tra un brano e l’altro. Mi trovo però ad ascoltare una band il cui suono è asservito a sfornare hit da passare in radio, e questo è il limite più grande del disco.

Non sembra quindi di trovarsi di fronte ad una band, con le diverse personalità dei vari componenti, ma il tutto sembra un prodotto audio già confezionato come un unico articolo. Sembra un prodotto da prendere così com’è, in blocco. Se Eno scolpiva il suono grezzo e personale ma ben presente degli U2, per lanciarlo verso l’universo, qui si tratta di produrre artisticamente qualcosa che sembra non avere forma se non nello scopo di andare in radio con dieci singoli e poi accorparli in un album.

Al di là del paragone, inevitabile, cosa mi rimane di questo disco? Forse idee di arrangiamenti e suoni tecnologicamente all’avanguardia, ma niente che possa indicarmi la personalità della band. (Johan De Pergy)