CONVERTIBLE "Favorite record"
(2025 )
Avevamo lasciato Hanz Platzgumer alle trame morbide e sfaccettate, cangianti e infide, di “Holst gate II”, all’alba del lockdown: era l’indimenticabile 2020, il mondo stava cambiando - giocoforza - e il disco era il consueto sfoggio di dotta personalità e musica poliedrica, melodiosa e pungente sotto strati di idee in divenire.
Quasi fosse uno spin-off di quel lavoro, consistente e denso, oggi “Favorite Record”, nove tracce per Noise Appeal Records, settimo album dal 2005 a nome Convertible, riprende, amplifica e sviluppa temi e mood del suo predecessore, ma focalizzandosi con decisione sugli aspetti più tenui e concilianti. Al solito, i riferimenti sono molteplici, e nei trentanove minuti aggraziati e gentili che scorrono placidi ed intimi su arie piacevolmente démodé si possono cogliere echi sparsi di Al Stewart e Beatles, XTC e Steely Dan, Billy Joel e Paul Simon, Supertramp e Randy Newman.
Il retrogusto – delizioso – rimanda memorie e suggestioni di un tempo discretamente lontano, un milieu patinato e vintage che sa di lp dei genitori ascoltati su un giradischi d’antan. Il risultato è – semplicemente - bello: un easy listening (si diceva così, no?) che funziona e rilassa, calma i nervi e predispone ad una notte pacifica.
Rigonfio di una strabordante ricchezza armonica, l’album sciorina una volta di più la talentuosa maestria di Platzgumer per ganci, singalong, trucchetti vari e contrappunti frizzanti sparsi ad arte con misura, raffinatezza, pacata signorilità. Lontano dal clamore e dal frastuono, pennella una musica adorabilmente desueta, condotta da un pianoforte garbato – emblematica “House Arrest” - che smussa ogni remota idea di asperità mai comparsa nella sua nutrita discografia; predilige un approccio composto, equilibrato e soffice, sublimato nella perfezione formale di “My Favorite Record”, statuaria per costruzione e groove, nella maestosa opener “Ticking & Revving”, nelle tinte Kinks di “Stalemate”, nelle atmosfere à la Joe Jackson di “Shrouded trees”.
Articolato ed ammaliante, l’album ondeggia lieve come una piuma in caduta libera, consegnandosi alla contemporaneità soltanto nei sette minuti e mezzo della conclusiva “Blip In Time”, screziata da piccoli disturbi glitch, dal battito algido della drum machine, dagli effetti in loop che stravolgono la voce in un turbine di elettronica disciplinata ed avvolgente, suggello ad un lavoro suadente e confidenziale, amabile e fascinoso, adorabilmente retrò. (Manuel Maverna)