recensioni dischi
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JC CINEL  "Where the river ends"
   (2025 )

L’ascolto del nuovo lavoro di JC Cinel, una delle voci più belle in circolazione in Italia (e che conosco artisticamente fin dai tempi dei progster Wicked Mind), per certi versi mi ha sorpreso.

Mi son trovato di fronte a musiche dalla veste ruvida che si specchiano davanti alla storia del rock duro, peraltro suonato magnificamente dalla band che per l’occasione l’accompagna. Ho trovato però particolarmente intriganti gli arrangiamenti, che grazie anche al colore della voce di JC, sono riusciti a creare una breccia nella mia mente, portando il pensiero a quanto di bello conosco dei Blue Oyster Cult. In particolare le atmosfere, che sebbene generate da una miscela sonora ben piantata nel blues, spesso sono accompagnate da sonorità prog english style.

Fa capolino ogni tanto qualche richiamo alla tenebra, qualche alone oscuro e misterioso, che rende il lavoro tutto particolarmente intrigante. Un po’ di “tratto” americano tuttavia, a mio parere emerge dall’uso di alcuni strumenti usati per creare l’atmosfera giusta, spesso volutamente southern, che al di là dell’estetica, molti indizi fanno pensare che sia stata voluta per un potenziale impatto live.

Il riferimento va, per esempio, a brani come ‘Thanks God I Was Alone’, dove si distinguono lo slide e l’armonica a bocca, micidiale connubio che porta mente e cuore nella mitica Route 66. Gran merito di queste atmosfere, oltre alla voce di JC, va al suono delle chitarre di Andrea Toninelli e Davide Dabusti, che danno prova di come il (southern) groove sia un elemento di assoluta importanza quando si cerca un contatto con chi vuole rock nella sua verace grandezza.

Mi piace inoltre pensare che il fiume citato dal titolo sia la metafora del percorso di un musicista indomito, che ha sempre saputo come condurre la sua musica senza dare ascolto alle sirene che infestano il mare del music business.

Dodici brani che partono dal deciso hard rock alla Deep Purple di ‘City Light’ che, se si vuole, potrebbe sottointendere un’iniziale chiarezza di intenti prima di affrontare un sentiero interiore tortuoso attraverso l’introspettiva ‘How Far We Shine’. Un brano esemplare se si considera l’effetto coinvolgente del già citato groove generato dalle chitarre.

Il fiume si getta infine nel mare, deciso verso nuovi ed immensi orizzonti, rappresentati da un magnifico finale quale è la canzone che titola l’album. (Mauro Furlan)