recensioni dischi
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HALF ASLEEP  "The minute hours/Les heures secondes"
   (2025 )

Ci sono dischi che stanno soli sul cuore della Terra, slegati, sciolti, liberi.

Occupano una dimensione a sé, sondano territori impervi, lande di confine, accarezzano frontiere, edificano paesaggi sonori suggestivi, vibranti, ricchi di promesse e di cari inganni. Flirtano con echi di mondi lontanissimi, plasmano memorie del tempo che fu, mutano prospettive, rigenerano e rielaborano, creano omaggiando, virano in direzioni imprevedibili.

Meravigliosamente indefinibile nel suo elegante amalgama di neoclassicismo ed avanguardia, “The Minute Hours/Les Heures Secondes”, su etichetta Humpty Dumpty Records/three:four Records, è il sesto lavoro per la poliedrica artista belga Valérie Leclercq in ventidue anni di preziosa, defilata carriera sotto il moniker di Half Asleep.

Dieci tracce di spinosa e strabordante intensità definiscono questi quarantatré minuti palpitanti e languidi, sospesi sul filo sottile che separa musica d’autore e piccoli azzardi, un mélange di melodie afflitte e contemporanea impalpabile, svenevole e diafana a tratti, altrove ravvivata da improvvisi guizzi, fughe inattese, corali rigonfi di pathos, paradossali deviazioni da un canone che canone non è.

Largamente affidato alle tessiture del pianoforte, ma provvidamente agitato dalla tenue malìa degli archi, dalle trame meste della chitarra, dalle funeree armonie del violoncello, dai toni penetranti delle voci, l’album si apre con i sette minuti e mezzo di “Mater”, profonda e toccante litania in minore chiusa da un coro ieratico, si infila nei ricami à la Loreena McKennitt di “The liberator”, con pregevole inserto d’arpa, gioca con le dissonanze nel numero avant di “Yes no maybe yes again again no”, resa incombente dal recitato che la sorregge e scossa dai contrappunti indisciplinati dei fiati.

Composizioni suadenti, fascinose ma infide, guardinghe e sfaccettate, squarci cristallini d’arte varia in purezza, rimangono ad aleggiare a mezzaria come spettri gentili. Sono canzoni-non-canzoni svincolate da generi, mode e tendenze, distanti e sfuggenti, minacciose o inafferrabili secondo l’estro del momento, dalla sinistra marcia sui generis di “The sun (is a blood disorder)” all’intermezzo free jazz di “Interlude #2 (positive as sound)”, dagli indescrivibili otto minuti, densi e cangianti, di “Midnight seam” – Chopin e Laurie Anderson a braccetto – alle suggestioni antiche del bozzetto cameristico di “God of the sink”.

In coda, la delicata lullaby in punta di chitarra di “Car sans heures ne puys”, affranta e dolente, si concede alla dimessa desolazione di “Ah! Whence is this? What is this severance?”, lied laconico e sconsolato a due voci che cala il sipario su un’opera appassionata e drammatica, colta e intima, percorsa da un’oscura vitalità, ardua da circoscrivere. (Manuel Maverna)