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CURU'  "Corale – Voci sommerse, storie negate"
   (2025 )

Quando si parla di lotta per i diritti delle donne in Italia, o in generale in Occidente, spesso scattano mezzi sorrisetti nascosti, degli uomini ma anche di alcune donne. Questo perché ci dimentichiamo che certe conquiste che diamo per scontate, ad altre latitudini sono ancora oggetto di lotta e di persecuzione. Ce lo ricordano le Curù con il disco “Corale – Voci sommerse, storie negate”, patrocinato da Amnesty International Italia.

Curù sono Giana Guaiana e Bruna Perraro, che cantano (la seconda suona anche flauto traverso e ottavino) accompagnate da un ensemble folk acustico: chitarra acustica, charango, fisarmonica, violino, violoncello, contrabbasso e basso fretless (quello che sbadiglia) e percussioni, con qualche occasionale incursione di chitarra elettrica.

Le loro canzoni ci portano a conoscenza di testimonianze davvero assurde. Il brano d'apertura “Donna chiama libertà” inizia con la voce di Nûdem Durak, cantante curda finita dietro le sbarre turche, con l'accusa di promuovere il terrorismo... registrando un CD. Quando si dice che la musica leggera sia innocua! “Donna chiama libertà” è il classico 6/8 con la poliritmia di “Dolcenera” (De André), quel tempo binario e ternario suonato assieme che crea un flusso ritmico-armonico sempre coinvolgente. La melodia del ritornello sa proprio di invocazione di giustizia, infatti la canzone è legata alla campagna per la scarcerazione di Durak.

“Saluterò di nuovo il sole” è il brano dove il fretless sbadiglia. In questa canzone più rilassata, l'attenzione si sposta in Iran, a ricordare Sepideh Gholian, altra donna in prigione, stavolta una giornalista che ha “nel cuore un tulipano”. Anche la successiva “Una punta di rosso” è dedicata a lei, e prende spunto dai suoi “Diari dal carcere”, dove il gesto, così banale dalle nostre parti di mettersi il rossetto, lì assume una valenza riottosa ed è pure pericoloso: “Mi metto il rossetto, la mia ribellione, mi metto il rossetto qui dentro in prigione”. Dove basta il velo messo male per morire bastonata.

La musica si fa divertente per ricordare l'inaccettabile crimine politico subito dai desaparecidos in Argentina. “Desaparecida” si ispira alle madri che nel 1977 ogni giovedì si radunavano in Plaza De Mayo a Buenos Aires, per protestare contro la scomparsa dei propri figli da questa politica del terrore: “Sangue e corpi seviziati son gli affetti calpestati da un aereo in una fossa si rinnova la promessa (…) ¡Ay que locura la dictadura, defenderemos juntos la paz!”.

Poi il richiamo della Trinacria si fa forte. Nonostante “Voce” sia accreditata a Bruna Perraro, che tra le due ha origine nel nord Italia, la canzone è sostenuta dal tipico ritmo allegro in levare siciliano, che accompagna parole dedicate a tutte le donne invisibili: “Sotto chiave, sotto un velo, sotto scorta, messe sotto”.

Il ritmo continua raccontando una storia davvero orribile, una roba da IDF (sì, l'ho scritto e non lo nego. In futuro dire “roba da IDF” sarà una battuta come dire “roba da SS”). “I pappagalli e le bombe, no!” inizia elencando le mascotte animalesche di famosi prodotti: “Il gorilla con il Crodino, l'ippopotamo e il pannolino. L'orso bianco e la Coca Cola e le chewing gum con il koala. La tigre con il gelato, il coniglio col cioccolato, i pappagalli e le bombe, no!”. Si stanno riferendo a delle mine, raccontate da Gino Strada, colorate per assomigliare a dei giocattoli, per ingannare i bambini. Direi che non c'è altro da aggiungere...

“A fuoco dolce” è una canzone fisarmonico-centrica che parla a mo' di ricetta, per intendere di rimescolare i propri ingredienti per cambiare sé stessi e la realtà circostante. Poi con “Land Grabbing Blues” si entra in un blues in shuffle che fa luce su un tema che potrebbe aiutare i più ottusi a capire perché ci sono persone che emigrano da un posto “dove non c'era la guerra”. Non serve per forza avere un esercito per rovinare una terra: è sufficiente che le multinazionali sequestrino le terre ai piccoli proprietari terrieri, rendendo vani i loro sforzi di anni di lavoro. “Land grabbing” è il nome di questa pratica, che ora sta arrivando anche in Sud Europa.

Restando in tema rurale, “Il folle di Gourga” è un brano lento che racconta di un agricoltore del Burkina Faso, Yacouba Sawadogo, che recuperando delle tecniche antiche è riuscito a rendere coltivabili 40 acri di una terra che era considerata ormai desertica! Infine “La Sacra Quercia” conclude il disco in Texas, raccontandoci della storia di Treaty Oak, albero sacro per i nativi americani che è sopravvissuto a un avvelenamento. Le Curù ricordano, forse con un po' troppa idealizzazione, l'uso dell'albero: “Le donne coglievano ghiande per sacre bevande (…) finché non arriva da un mondo lontano il primo pioniere del pueblo (…) e il bosco in silenzio assiste al trattato che assegna i confini di terre di Stato”.

Il disco ha il pregio di dare voce a storie che difficilmente si sentono raccontate dai mass media. “Corale – Voci sommerse, storie negate” può essere preso come spunto di riflessione (e una proposta a cui dare spazio) per tutti quei collettivi, quelle realtà associative che cercano di mostrare il lato crudo e vissuto della lotta per i diritti nel mondo. (Gilberto Ongaro)