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LUCA DI MARTINO  "U pisu di nenti"
   (2025 )

E le parole non basteranno, se la bellezza mi assale”, cantava Luca Di Martino sul suo primo disco da cantautore, il quinto da solista, intitolato “Non importa la meta” (802records, febbraio 2024).

Ebbene, dicendo questo l’artista palermitano inconsapevolmente descrive l’essenza della propria musica: talmente bella, da far sembrare troppo stretto e rigido l’abito dei testi scritti che cercano di presentarla. La musica di Luca Di Martino va ascoltata e vissuta in prima persona… con la mente e con l’anima pulite come quelle dei bambini, resistendo alla tentazione di concettualizzare, di catalogare o di cercare somiglianze con riferimenti artistici già noti.

Spesso le categorie create dal pensiero e cristallizzate in parole sopprimono la bellezza, aumentando il dolore e il senso di difficoltà… In più, il bisogno di essere accettati ci costringe a nascondere le fatiche e a far finta di niente: un “niente” pesante, compagno delle preoccupazioni, della rassegnazione (o della moderna “resilienza”), delle bugie, dei silenzi, dei troppi non detti che rimangono impressi nell’anima.

“U pisu di nenti” (“Il peso del niente”) è il titolo del secondo album da cantautore di Luca Di Martino, uscito il 30 giugno 2025 su tutte le piattaforme digitali e disponibile in copia fisica a lucadimartino87@libero.it, ed è anche il titolo della traccia centrale che raccoglie in sé il senso di tutto il lavoro. L’idea parte dalla frase “Chistu nenti è!” (“Questo non è niente!”), che si usa dire in Sicilia, ma che in realtà prescinde dalla localizzazione geografica e corrisponde alla tendenza generale dell’essere umano a mascherare la sofferenza illudendosi di eliminarla.

L’atmosfera del brano “U pisu di nenti” è una meditativa, creata con l’aiuto degli arrangiamenti elettronici realizzati dal musicista Aldo Giordano, in cui dei suoni profondi e avvolgenti fanno immergere l’immaginazione nei movimenti degli oceani, nei misteri del cosmo e – grazie a dei suoni simili a quelli prodotti dalla marimba – nello spirito pacifico che caratterizza i popoli dell’Africa.

Il testo della title track (come d’altronde l’album intero) invita a dare a tutto il giusto peso, a tenere la mente quieta e a lasciar scorrere le cose senza ostinarsi a conoscere il giusto o lo sbagliato che racchiudono dentro, senza desiderare con troppo accanimento di avere il controllo su ciò che avviene, perché alla fine tutto passa e se ne va. Se ne vanno i momenti brutti, ma anche quelli belli che vorremmo durassero per sempre.

Compiamo quotidianamente tanti sforzi per tenere ferme le cose che ci danno un senso di sicurezza, e pure la vita cambia – o, detto in siciliano,“cancia” – di continuo. Si vive cercando un luogo (non necessariamente fisico) a cui sentirsi appartenere, una casa per la propria anima ovvero un “risettu”, come dicono i siciliani… E anche se a volte sembra che ci siamo arrivati, che abbiamo finalmente trovato il proprio posto, non è mai per sempre: in ogni momento della vita ci possiamo accorgere di aver perso la certezza che fino a poco prima credevamo di avere.

Nel brano intitolato “Antùra” (che in siciliano significa “poco fa”), Luca Di Martino ci parla proprio di questo: del tema della temporaneità e dell’incapacità di impedire i cambiamenti, nonostante la volontà di trattenere ciò che fa sentire al sicuro. La melodia ha alla base una scala minore armonica che ricorda la musica dei Paesi arabi, antica culla della civiltà e della saggezza. La disposizione meditativa viene mantenuta soprattutto attraverso un suono ripetitivo del registro basso delle percussioni elettroniche, mentre la chitarra elettrica imprime un’energia irrequieta… o una “scueta premura”, come l’autore chiama in siciliano tale stato d’animo nel testo della canzone.

I suoni graffianti della chitarra elettrica, stavolta in compagnia di ritmi simili a quelli tribali, si fanno sentire anche in “Siti” (“Sete”), una moderna invocazione della pioggia ispirata alla preghiera popolare “Signuruzzu, chiuviti, chiuviti”, recuperata e cantata dall’indimenticabile Rosa Balistreri. Fin dall’inizio di questa canzone, Luca dice che l’acqua “sciddica” (“scivola”) dal cielo e “vagna lu munnu ammàtula” (“bagna il mondo invano”)… quindi la pioggia descritta non è una sana e buona per la Terra e per i suoi esseri, ma una raffica veloce che in seguito fa bruciare ancor di più la vegetazione e aumentare la sete.

A una simile pioggia si riferisce anche il testo dell’antico canto popolare, nel quale al Signore viene chiesto: “Mannatinni una bona,/ Senza lampi e senza trona” (“Mandateci una buona,/ Senza lampi e senza tuoni”). La crisi idrica dunque, anche se negli ultimi anni sembra sia aumentata, in realtà è sempre stata una caratteristica della Sicilia e di altri posti che si confrontano con la siccità… e l’arte popolare e colta non ne è mai rimasta indifferente e ha fatto emergere delle preziose manifestazioni espressive dell’inconscio collettivo.

Ascoltando i ritmi e le sonorità del brano “Siti”, in un primo istante verrebbe voglia di immaginare una possibile svolta rock per le future composizioni dell’artista di Isnello; ma poi ci si riguarda dal farlo, perché la sua musica è unica e così deve rimanere, senza correre il rischio di uniformarsi a un determinato genere tra quelli già esistenti. Infatti, la canzone intitolata “Accussì è!” (“È così!”) – situata nella tracklist subito dopo “Siti” – appartiene a una tipologia tutta diversa. È un brano rappeggiante, quasi una filastrocca dal carattere dinamico e giovanile, nel cui testo l’arresa al susseguirsi degli eventi ci viene presentata anche con una sua sfumatura negativa: qui il silenzio e la mancanza di reazione non significano più quiete della mente e saggia sottomissione a una forza superiore alla volontà umana (come la divinità o il destino), ma riguardano piuttosto l’incapacità di ribellarsi alle ingiustizie sociali.

Questo brano punta il dito sul rovesciamento dei valori, sulle tante realtà in cui il male comanda e il bene gli obbedisce e sull’inutilità degli sforzi compiuti da quei pochi che si apprestano ad agire per migliorare il mondo in cui si vive.

In “Accussì è!” la parte vocale eseguita da Luca Di Martino viene efficacemente completata dalla voce del musicista e professore Daniele Guastella, in un energetico ritornello che – dopo eventuali adattamenti e con le opportune spiegazioni – forse potrebbe essere proposto, come parte del percorso educativo, a dei gruppi di ragazzi e bambini di età scolare. Ne citiamo la parte finale: “C’è un munnu sutta supra,/ a luna sutta terra,/ Un passu darrè l’autru/ e semu sempri in guerra./ A chi serve pridicari?/ Nuddu pò ascutari… / Semu finti surdi/ o semu tutti furbi”. (“C’è un mondo sotto sopra,/ la luna sotto terra,/ Un passo dietro l’altro/ e siamo sempre in guerra./ A che serve parlare dei problemi?/ Nessuno può ascoltare… / Siamo finti sordi/ o siamo tutti furbi”).

Un’altra meravigliosa canzone probabilmente adatta a essere cantata da gruppi numerosi è “U me riparu”, il brano d’apertura dell’album, con il quale Luca parteciperà come prefinalista all’edizione 2025 del Premio Pierangelo Bertoli. Sullo sfondo di un ritmo che prende le mosse dalle onde del mare, in questa canzone viene evidenziato il valore soggettivo della Musica. Per Luca, la Musica rappresenta “un riparo di fronte alle ingiustizie e alle avversità, un angolo di pace necessario dove ritrovarmi con me stesso per dare vita a nuove percezioni”. Una melodia piena di leggerezza e di serenità, con un tocco molto personale dell’autore, che poco a poco “inchi l’anima” (“riempie l’anima”) di chi canta e di chi ascolta.

“Semu varchi chi vannu o varchi chi vennu” (“Siamo barche che vanno o barche che vengono”), la metafora che conclude il ritornello di “U me riparu”, corrisponde a un’idea ricorrente nel pensiero poetico dell’artista: la vita trascorsa tra l’andare e il tornare, tra il richiamo e l’abbandono... In un mondo sempre più liquido e sconfinato, siamo in tanti ad allontanarci dalle proprie radici e dalle comunità in cui siamo nati e cresciuti, cercando di continuo “la propria strada”. Così si va a finire che molti piccoli paesi si spopolino e che le persone si sentano spaesate come “varchi luntanu du mari” (“barche lontane dal mare”).

A questo argomento di triste attualità si riferisce la canzone “Spaisati” – uscita a maggio 2025 e già dettagliatamente commentata da Music Map – accompagnata da un video realizzato sulle strade di Racalmuto (AG). L’autore delle suggestive riprese video è Giacomo William Bennardo (lo stesso autore della copertina dell’album), mentre i signori Alfonso Chiazzese e Carmelo Bello – abitanti del paese e “attori per un giorno” – hanno aggiunto un più di autenticità con la presenza nei filmati e con la loro conversazione telefonica nei momenti iniziali del brano.

L’autenticità, la purezza e la verità diventano sempre di più dei valori rari e pregiati… e mentre tanti le cercano nei sapori dei piatti genuini o nelle case di campagna, Luca Di Martino lo fa anche riducendo la produzione musicale all’essenziale ed eliminando in alcuni brani tutti quegli “effetti speciali” che possano alterare il contatto con la propria anima. Su quest’album, ciò si nota soprattutto in tre canzoni di una rara bellezza e di una “complessa semplicità” intitolate “Paci di sira” (“Pace di sera”), “Testa o cruci” (“Testa o croce”) e “Vinnutu amuri” (“Venduto amore”).

In tutte e tre, le voci umane vengono accompagnate da pochissimi strumenti musicali, che però riempiono l’atmosfera di emozione... Oltre alla chitarra classica di Luca, presente in tutti e tre i brani, Aldo Giordano suona la fisarmonica in “Paci di sira” e il pianoforte in “Testa o cruci”, mentre il violoncellista Mauro Cottone ci avvolge con l’espressività del suo strumento – espressività molto simile a quella della voce umana – in “Testa o cruci” e in “Vinnutu amuri”.

Le melodie dei tre brani sembrano molto familiari, come se provenissero direttamente dalla memoria ancestrale di chi le ascolta, e pure si tratta di canzoni d’autore scritte nel 2025 e tutt’altro che banali o scontate. Il testo di “Paci di sira” si riferisce, appunto, alla pace: a quella pace che oggigiorno sembra solo un concetto appartenente al passato e che viene vissuta in una serata estiva nel silenzio della campagna, in mezzo a “un chianu di notti e di stiddi” (quindi in mezzo a una distesa di notte e di stelle).

In una tale magica atmosfera, insieme a tanti visi amici da ricordare nei pensieri, viene scritto nella memoria “un libbru di paggini cuntenti”… e nella parola “cuntenti”, l’ascoltatore poco abituato alla pronuncia delle parole siciliane sente con piacere come la voce mette in risalto le consonanti; forse più delle vocali, che di norma vengono privilegiate nella pratica del canto.

La canzone “Testa o cruci” vede la preziosa collaborazione del Maestro Carlo Muratori, cantautore e appassionato studioso della cultura popolare e della musica tradizionale siciliana, attraverso la cui voce calda e autorevole Luca Di Martino riflette sul tema della relazione tra il destino e le scelte individuali, riferendosi tra l’altro alle emozioni, che – “senza capiri comu, senza sapiri quannu” – prendono il sopravvento rendendo a volte impossibile il controllo razionale. E anche questa canzone si conclude con il leitmotiv della vita percepita come viaggio, un viaggio simile a “un soffio labile”, in cui tutto muta e ci appartiene per poco, “fra sguardi ed anime”.

Non possiamo fare a meno di notare che, alla fine delle prime tre strofe che canta, il Maestro Muratori rivolge l’invito “Oggi tocca a tia… Testa o cruci?”, dopodiché la quarta strofa viene cantata da Luca, inaspettatamente in italiano e non più in siciliano: come un naturale passaggio del destino da una generazione a quella successiva.

E da un’opera musicale che celebra la vita, com’è il caso di quest’album, non poteva mancare il riferimento all’età infantile… perché è proprio dai bambini che si spera di iniziare il cammino verso una società più sana. Tra le dieci tracce, le canzoni “Novi misi” e “Vinnutu amuri” – che mettono al centro l’infanzia – sono forse quelle che più si avvicinano alla perfezione e anche le più difficilmente descrivibili per mezzo di considerazioni teoriche.

“Novi misi” (“Nove mesi”) è il brano uscito come singolo molto prima degli altri nove, a marzo del 2025, e descrive le sensazioni vissute – tra gioie e paure, sconforti e preparativi – da una madre e da un padre durante i nove mesi in cui insieme aspettano la nascita del loro piccolo. La canzone inizia in pianissimo, con una musichetta simile a quella prodotta da un carillon che fa da base di partenza per la struttura ritmico-melodica dell’intero brano. Il momento-chiave sembra essere quello in cui Luca rassicura la persona a cui è dedicata la canzone, dicendo “Sta varca nun fa acqua,/ Ti poi fidari”, per avviarsi subito dopo in crescendo verso un ritornello che ci riempie di gioia: quella grande gioia che ha portato all’accoglienza di una nuova “nica vita” (“piccola vita”) da accarezzare e che probabilmente è stata fonte d’ispirazione per tutti i brani del disco.

“Vinnutu amuri” (“Venduto amore”), invece, racconta attraverso un dialogo la storia di una studentessa universitaria, ragazza madre, che ogni notte è costretta a prostituirsi per non far mancare nulla al proprio figlio. Il dialogo – creato con tanta sensibilità poetica da Luca Di Martino – si svolge tra il bambino (le cui domande vengono espresse dalla voce dell’autore) e la madre che gli risponde, magistralmente interpretata dalla musicista Patrizia Capizzi.

Il bambino chiede alla madre dov’è che va tutte le volte quando lui la cerca e lei non c’è; per quali strade cammina nella notte scura, “senza misteri, senza misura” (“misteri”, in questo contesto, corrisponde alla parola italiana “mestiere”) e le confessa che tutte le notti l’aspetta dietro la finestra e che poi si addormenta “senza coperta”… Evidentemente, il “senza coperta” viene qui usato con un senso figurato e si riferisce alla mancanza del calore materno.

La mamma, a sua volta, gli risponde cercando di garantire la permanenza affettiva vicino a lui e lo protegge nascondendo il vero motivo della sua assenza durante le notti… “Nun ci pinzari, sì ancora nicu” (“Non ci pensare, sei ancora piccolo”). Cantando poi gli ultimi due versi, la voce di Patrizia sembra sorridere e illuminarsi nell’interpretare la parte della giovane madre, finalmente tornata a casa dal suo unico vero amore: “Ti abbrazzu cu veru amuri/ Ora durmemu, turna lu suli” (“Ti abbraccio con vero amore/ Ora dormiamo, torna il sole”).

Scritta in misura ternaria, come un meditativo e tenero valzer, la melodia principale di “Vinnutu amuri” viene eseguita all’unisono dalla chitarra insieme a ognuna delle tre voci (maschile, femminile, violoncello) e sembra arrivare da lontano, da un altrove, e al contempo da dentro il profondo di chi l’ascolta. Ed ecco che, raccontando con sincerità e in lingua madre le storie della propria terra e della propria interiorità, Luca fa sentire ai suoi ascoltatori come il peso del niente poco a poco diminuisce… perché ci si accorge che a doverlo portare non si è da soli.

Buon ascolto di “U pisu di nenti”, dieci gioielli musicali dal cuore della Sicilia per i cuori del mondo intero! (Magda Vasilescu)