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ALESSANDRO FERRETTI  "Basta Walter!"
   (2025 )

Il glockenspiel usato come prezzemolo nelle canzoni pop comunica di voler restituire un mood dolce e da sogno. Così esordisce Alessandro Ferretti, cantautore devoto a Beatles e Beach Boys (RIP mitico Brian Wilson), che in “Basta Walter!” ci propone otto canzoni scritte in italiano, ma dal sapore british. Ad esempio, il ritornello di “Semplicemente io” è condito da un coro in falsetto che fa “uuuh” come nelle migliori hit di Lennon e McCartney. Accanto al glockenspiel, la batteria batte spesso il cimbalo, come da tradizione beat (si sente anche in “Fiori di Pesco”).

In “Che differenza c'è?”, Ferretti canta e rivendica una sua normalità, una sua ordinarietà: “Senza la mia pace non mi rimarrebbe niente, le rivoluzioni non fanno per me. Sogno ogni giorno di marcire sul lavoro […] tutto quel che sono è solo frutto della TV, tu non sei diverso da me”. Questa canzone a un certo punto contiene un simpatico easter egg, ne sono sicuro, quella melodia l'ho già sentita, ce l'ho sulla punta della lingua ma non mi viene. Magari voi la riconoscete subito!

Una delle canzoni più interessanti è “Non è casa mia”. Intanto complimenti per il suono di basso ricercato, così pulsante, ricorda quelli degli anni '70 che battevano sulle casse dei vecchi stereo Hi-Fi; non li trovi più fatti in questo modo oggi, se non nell'album vintage di Alberto Bazzoli (https://www.musicmap.it/recdischi/ordinaperr.asp?id=11153) che ci riporta in una Milano che non c'è più.

Il testo inizia in maniera onirica: “Nei miei sogni non c'è negazione, questo è un letto oppure un treno per Roma”. Non si sa se stiamo ancora sognando o siamo svegli, ma il protagonista non riconosce più le proprie mura: “Questa non è più casa mia”. Nella ripartenza della canzone arriva un assolo di trombone. Poi mellotron, uno “specchio rotto frantumato dal padre” e cori... è davvero un brano da ascoltare con attenzione, sia per le parole sia per la musica.

La titletrack naviga tra delusioni e paure per concludere: “Non è l'Apocalisse, è la tua vita d'inferno, amico mio”. La suddetta “Semplicemente io” ribadisce la stanchezza nel cercare soluzioni a quest'amarezza del reale: “Sì, lo so, ma non mi dire, che per essere qualcuno domani devo ridere, fingere, non essere me. Ogni giorno una condanna nuova, sono stato un padre di due lacrime. Domani ha messo pioggia, spero di confondermi con l'acqua che cade”.

Queste lacrime sono protagoniste anche in “Se vuoi”, e non si capisce se la “voglia di noia” cantata in “Che differenza c'è?” sia rassegnazione o una scelta di consapevolezza. La canzone di chiusura “Essere qualcuno per te” torna sul punto: “Forse non diventerò quello che sognavo da sempre, essere diverso dagli altri, essere qualcuno per te”.

Rifletto sui vasi di Pandora che si stanno aprendo in questi giorni, grazie a Selvaggia Lucarelli (mi tocca dargliene atto) che ha finalmente dato voce a una realtà che il buon Michele Monina denunciava dal lontano 2016 (lui veniva insultato per questo). Ora che sempre più persone si stanno svegliando sul fatto che la maggior parte dei sold-out ai concerti di artisti non ancora affermati sono finti, forse non è male viversi la normalità, essere un artista a tempo perso, nella propria realtà locale/provinciale. Si è liberi da pressioni mediatiche e algoritmiche, si scrive come si vuole. Anche se il pubblico non lo ammette, lo percepisce quando qualcosa è autentico.

Se Monina non se lo calcolavano, ma ora lo dice la Lucarelli e allora è vero (buongiorno gente…) magari più persone potrebbero iniziare a lasciar perdere quei carrozzoni fatti di cartapesta-fumo, per riscoprire gli artisti locali che hanno l'arrosto. Ad esempio Alessandro Ferretti ce l'ha! (A meno che non sia vegano, in tal caso è un arrosto di ceci!) (Gilberto Ongaro)