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IVAN MAZUZE  "Penuka"
   (2025 )

Ivan Mazuze è un sassofonista nato in Mozambico e residente in Norvegia, e ci porta un peculiare esempio di world jazz. Uscito per Global Sonics, “Penuka” è il suo quinto album, che trae ispirazione da una ricca interconnessione di culture distanti, espresse in un ricco organico: numerosi i musicisti che possiamo ascoltare nei brani.

I ritmi a volte sono complessi, a volte viene da farmi la domanda del titolo di un disco dei Congotronics International: “Where's the one?” (https://www.musicmap.it/recdischi/ordinaperr.asp?id=9683). Cioè, contando i battiti del tempo, più volte perdo l'uno, in brani come “Bongile” che apre l'album. A un certo punto credo sia in 7/8, se le poliritmie non mi ingannano. Ed è quello il bello.

Protagonista dei brani è il sax di Mazuze, particolarmente melodico e arioso anche nelle improvvisazioni: pochi ostinati e molti saliscendi. Il titolo “Bongile”, di un brano tanto energico quanto complesso, significa “siamo grati” e si riferisce agli scambi culturali tra africani del sud e indiani nomadi del Rajasthan. La parola viene dalla lingua Xhosa che, è utile ricordarlo, è quella che ha diffuso il termine “ubuntu”, cioè interdipendenza umana. La filosofia degli scambi culturali è alla base di questa esplorazione musicale.

La titletrack è altrettanto scatenata. Nella sezione ritmica riconosco il tamburo parlante (“kalangu”), quello che permette di modificarne il tono, allentando e tendendo la membrana. È uno strumento diffuso dalla parte opposta dell'Africa rispetto al Mozambico, cioè in Ghana. Infatti, nel comunicato ci dicono che nel disco sono presenti musicisti provenienti anche da Ghana, Marocco, Gambia e Senegal.

Ma con “Mamidje” torniamo in casa Mazuze. Il titolo porta il nome del fratello maggiore del sassofonista, scomparso, al quale Mazuze dedica un brano gentile ma non per questo privo di groove. Il brano inizia e finisce col suono della mbira dzavadzimu, noto strumento dello Zimbabwe collegato a un rito di connessione con gli antenati. Lo conosciamo più spesso nella sua versione esportata in Sudamerica, la kalimba, ma non è proprio identica. Le lamelle sono accordate a una precisa intonazione che ha un preciso significato spirituale. Accanto alla mbira e agli accordi compositi di piano elettrico, il sax spesso suona le melodie all'unisono con il flauto.

A proposito di Sudamerica, “M & S” prende un ritmo latino (rumba) ma lo riporta all'origine congolese. Questa danza fonde infatti soukos e kwasa kwasa, due ritmi originari della Repubblica Democratica del Congo, suonato su percussioni senegalesi. “Belonging” riprende il dialogo africano – indiano, e lo rafforza in “Ayaan”, dove compaiono i tabla, una cantante pakistana e il sitar in chiusura.

Mazuze sceglie come contaminare i propri brani basandosi sulle rotte commerciali. La prossima rotta, “Adufo”, è fra il Mozambico del nord e l'Arabia, mentre “Kanawa” si sposta in Marocco, traendo spunto dallo stile Gnawa, dell'omonimo gruppo etnico la cui musica ipnotica (pensata per entrare in trance) è stata dichiarata patrimonio dell'umanità nel 2019 dall'UNESCO. Le linee vocali cantate rappresentano il punto d'incontro tra musica marocchina e araba. “Nhaka” è dedicata al popolo Chopi, del Mozambico del sud, mentre “Yangulanu” fa incontrare un ritmo del Mali con un canto gambiano.

Il sassofono di Mazuze è la voce narrante che ci fa da Cicerone in questo viaggio: fa prendere coscienza della ricchezza e varietà culturale presente in tante nazioni africane... oltre a darci ritmi irresistibili! (Gilberto Ongaro)