recensioni dischi
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HUNGREY  "Hungrey"
   (2025 )

I magnifici anni ’80 rivivono nel magniloquente sound degli Hungrey, che grazie alla rediviva Elevate Records pubblicano un vero e proprio tributo al prog metal melodico, lasciando intendere che non bastavano più la passione e gusto per la melodia.

La band si presenta con un bagaglio tecnico di prim’ordine e la consapevolezza di proporre musica coinvolgente, compatta e dal groove assassino. A cavallo tra gli anni ’80 e gli anni ’90, molte nostre radio più o meno libere tenevano sugli scaffali le idee di band gloriose come Fates Warning o dei grandi Crimson Glory del compianto Midnight. Assieme ai primi Queensryche, non ancora diventati leggenda, dagli USA ad un certo punto osarono minacciare la supremazia del metal britannico grazie ad indovinati e micidiali crossover stilistici.

Per certe musiche dalla scorza dura ma dal cuore tenero, in Italia la Elevate Records è da sempre un nome importante, garante sicuramente tutt’oggi di un certo modo di intendere l’heavy sound.

Il disco, intendiamoci, non è una raccolta di brani che fa gridare al miracolo. Però il suono che ne esce è intrigante, una melodia granitica con un’attitudine che potrebbe diventare un vessillo, un marchio della band che la distinguerebbe. Oggi, a mio parere, sarebbe una qualità considerevole.

Le doti, come già detto, ci sono, vedi l’espressiva voce di Luca Loreti, ottimo biglietto da visita fin dall’opener ‘Start To Forget’. Da vecchio rocker ho molto gradito le chitarre, affilate come rasoi specialmente nei riff, sempre presenti a rifornire di lava incandescente l’ignaro ascoltatore mentre è alle prese con brani come ‘Parallel 41’.

Chiaro che diventa pertanto importante suonare molto dal vivo, dare questi brani in pasto ai fan, aggiustandone con il tempo il tiro dove serve. Ma mi rendo anche conto che non è assolutamente facile. Va comunque un caldo invito a questi musicisti a persistere senza stancarsi, cercando di farsi trovare pronti per qualsiasi momento... Magari potrebbe accadere di imbattersi in quello giusto per emergere. Chissà...

Infine, secondo me, qualche lirica in italiano e staccata da stereotipi di genere, potrebbe diventare importante per occasionali cambi di marcia. È risaputo che nei paesi anglofoni (ma non solo) il suono del cantato in italiano piace molto.

Tuttavia, la saggia decisione di affidarsi all’esperienza di uno come Ray Sperlonga fa ben sperare per il futuro della band e della loro musica. Per il momento gustiamoci questo virile album di debutto. Rock ON! (Mauro Furlan)